Per la rubrica “Out of the pitch“, abbiamo intervistato circa la tematica relativa agli infortuni e alla riabilitazione il Dott. Enrico Scordino, osteopata molto apprezzato e conosciuto sui social come “ildoc_osteopata“.
Juventus e Torino hanno visto di recente infortunarsi rispettivamente Gleison Bremer e Duvan Zapata. Per il bianconero si tratta di una lesione del legamento crociato anteriore del ginocchio sinistro mentre per il granata non solo la lesione del medesimo legamento ma anche del menisco mediale e del menisco laterale. Qual è, generalmente, l’iter riabilitativo quando occorrono questo tipo di infortuni?
“Nel caso di un intervento classico del legamento crociato anteriore, si riprende a correre circa tre mesi dopo l’operazione e per riprendere l’attività sportiva ad alto impatto ne occorrono circa sei. Sono però dati standard. C’è un iter che deve essere seguito ad hoc a seconda del calciatore, perché possono esserci diversi tipi di intervento. Il calciatore può poi essere soggetto anche ad altre variabili: ad esempio, potrebbe aver subito una seconda rottura del legamento o un altro trauma sullo stesso arto. L’iter si gestisce in team ed è fondamentale creare un protocollo “su misura” per ogni giocatore perché ognuno è differente e i tempi di recupero possono essere variabili, fermo restando che ci sono tempi fisiologici. Ad oggi le tecniche in campo riabilitativo sono arrivate al top e spesso si riesce a recuperare più velocemente rispetto a una persona non atleta che subisce questo infortunio“.
Come si gestisce, a livello mentale e fisico, un calciatore che deve necessariamente stare lontano dai campi di gioco per recuperare da un problema fisico importante?
“Mi vorrei soffermare soprattutto sull’aspetto mentale che, come quello fisico, è gestito dallo staff medico. Entrambi giocano un ruolo fondamentale, specie nelle fasi di recupero dell’infortunio. Quest’ultimo è visto come un evento multifattoriale e necessita dunque di un approccio analogo. Facendo riferimento a uno studio tratto da “Conti” (2015), quando si parla di analisi psicologica dell’infortunio, generalmente, si distinguono tre fasi temporali: quella acuta post infortunio, quella legata alla riabilitazione e, infine, quella attinente il ritorno allo sport.
Nella prima fase il calciatore può provare una sorta di senso di smarrimento. Questo accade perchè si è subito un problema fisico e può esserci la paura di non riuscire a tornare in campo. Emozionalmente è una fase molto forte. Nello step della riabilitazione, l’atleta viene gestito da tutto lo staff e possono verificarsi situazioni altalenanti. Infatti, il giocatore può sentirsi più motivato, ha un gruppo di lavoro attorno e capisce che può tornare al top: tuttavia, in alcuni momenti può essere un po’ sconfortato. Nella terza fase, il calciatore deve essere pronto a tornare in partita. Però l’essere pronto fisicamente non vuol dire esserlo emotivamente e psicologicamente. Infatti, anche se il giocatore ha recuperato al 100% magari non sente la stessa condizione in campo. Qui, la parte di psicologia gioca un ruolo fondamentale.
Generalmente, all’interno degli staff è presente un supporto psicologico. Si possono fare incontri e effettuare determinati lavori tecnici su di lui per recuperarlo al meglio, come ad esempio darsi degli obiettivi“.
Ritornando a Bremer e Zapata, il primo è un classe ‘97 mentre il secondo un classe ‘91. La questione anagrafica ha incidenza sulla ripresa dell’atleta nel caso di infortuni di tale portata e, eventualmente, in che misura?
“C’è un indice denominato IFR (Injury Frequency Rate), ossia il numero di infortuni ogni mille ore di allenamento o partita. Si può pensare che un calciatore più giovane, che ha quindi giocato meno rispetto ad un collega di età maggiore, ha più probabilità di recupero. Questo perché, data l’età, ha disputato meno gare, si è allenato di meno e ha subito un quantitativo inferiore di infortuni, anche di minor entità. L’età aiuta, così come una struttura più fresca muscolarmente e fisiologicamente. Anche la questione motivazionale è importante perché un atleta più avanti con gli anni può pensare di essere già in una fascia over rispetto a un collega di età inferiore“.
Facendo un passo indietro, in casa Juventus si era già assistito ad un infortunio che riguardava la rottura di un legamento crociato anteriore. Nella stagione 2021-2022, Federico Chiesa fu purtroppo colpito da tale problema fisico. Il suo recupero fu documentato anche con un contenuto ad hoc trasmesso su Amazon Prime Video. Secondo lei, quanto può essere di supporto poter vedere gli step riabilitativi di un calciatore professionista per dei giovani atleti che magari si trovano ad affrontare lo stesso tipo di percorso?
“Certamente questo tipo di contenuti può giocare un ruolo molto importante. Il fatto di poter vedere un iter lavorativo condotto da un’equipe, specie come quella della Juventus, è sicuramente una marcia in più per un calciatore. Infatti, egli può vedere più fasi del recupero, sia di quello fisico che di quello mentale. Non solo: chi lo guarda può vedere anche la capacità di uscire da un brutto infortunio e di poter tornare su un campo da calcio facendo nuovamente la differenza proprio come successe a Federico Chiesa in molti match. Per i ragazzi giovani che subiscono un infortunio è un plus che conferisce energia e fa capire che il corpo ha capacità sensazionali in termini di recupero“.
Nel mondo del calcio stiamo assistendo sempre più spesso ad infortuni di grossa entità: il numero di match ravvicinati e il conseguente aumento di carichi lavorativi, può essere reputato come uno dei fattori incisivi?
“Il calcio si è evoluto molto nel corso di questi anni, c’è un aumento di carichi per via delle diverse competizioni. Un calciatore professionista si ritrova a fare moltissime ore di lavoro e questo lo mette nella condizione di doverlo gestire. Un giocatore deve curare tantissimi aspetti, indipendentemente dalle ore di lavoro, che possono portare ad un problema fisico.
Ci sono infortuni differenti ma parliamo basandoci sul problema fisico che avviene durante un’azione che può essere, ad esempio, un recupero palla e che può portare alla rottura di un legamento crociato anteriore. Può essere dovuto a molti fattori: le ore di lavoro e magari il tipo di preparazione. Ogni giocatore ha caratteristiche proprie e non sempre è semplice differenziare il tipo di preparazione da soggetto a soggetto. Anche l’alimentazione e lo stile di vita giocano un ruolo molto importante: ore di sonno, qualità di vita, tipologia e ore di allenamento. Queste sono tutte condizioni che fanno si che l’atleta possa infortunarsi il meno possibile. Insomma, il punto non sono soltanto i carichi lavorativi ma anche la gestione delle attività extra campo“.
Si ringrazia il Dott. Enrico Scordino per la disponibilità mostrata nei confronti della redazione di Piemonte Sport.
var url588405 = “https://vid1aws.smiling.video//SmilingVideoResponder/AutoSnippet?idUser=1381&evid=588405”;
var snippet588405 = httpGetSync(url588405);
document.write(snippet588405);