Out of the pitch, intervista a Daniele Pagani: “Juventus e Torino, Bremer e Zapata assenze pesanti. Su Douglas Luiz…”

Per la rubrica Out of the pitch la redazione di Piemonte Sport ha raccolto le dichiarazioni di Daniele Pagani, esperto di calcio sudamericano e collaboratore di Esquire Italia.

La Juventus è ripartita, in estate, da Thiago Motta. Si aspettava il percorso a cui stiamo assistendo?

“Maggiore è la portata del cambiamento e più tortuoso, inevitabilmente, diventa il percorso. Intorno all’operato di Thiago Motta si è creato troppo allarmismo, tendente all’isterismo futile. È un tecnico che sta cercando di trasmettere una mentalità votata al gioco, in una squadra dove la pressione per il risultato finale e la fame per il successo sono imparagonabili ad altre piazze, e tutto sommato è stato in grado di mettere in piedi un gruppo che a suo modo funziona.

Non voglio dire che sia tutto fiori e merletti, si sono intravisti degli errori gestionali da parte sua, ma i bianconeri stanno attraversando una fase di assorbimento delle idee dell’allenatore che per forza di cose può portare a dei periodi più complessi, in alcuni momenti della stagione. Thiago Motta è uno che ci mette la faccia, sempre. Non cerca attenuanti. E questa cosa, di lui, mi piace molto. Vanno rimarcati anche gli aspetti positivi.

La Juve che a San Siro riesce a rimontare due gol all’Inter, che riesce ad avere ragione di un Manchester City, seppure in difficoltà, è una collettivo che sta dimostrando di avere ampi margini di miglioramento e di crescita. Eccetto i primi quattro mesi della scorsa annata, negli ultimi tre campionati, i bianconeri non sono mai stati una seria candidata allo scudetto. Perché Thiago Motta deve arrivare da Bologna e sentire l’obbligo di strappare il tricolore all’Inter, al netto di un gruppo profondamente mutato negli uomini e con un’idea di calcio da dover ancora inculcare?

Sul mercato è stato speso parecchio, è vero anche questo, ma in parte mi viene da pensare che nessuno si renda davvero conto di quanto la squadra fosse consumata e lacunosa, con Allegri abbandonato a sé stesso, a ricoprire un ruolo da parafulmine per lo spogliatoio. A Thiago Motta, i giocatori, sono stati comprati. Però, quando ne compri otto, ci vuole anche tempo per amalgamarli. L’allenatore va lasciato lavorare, perché l’ossessione è nemica della pazienza. Un processo di cambiamento va compreso, prima di essere criticato”.

I bianconeri hanno perso prematuramente Bremer per infortunio. La sua presenza in difesa, dati alla mano, faceva la differenza. Cosa ne pensa del suo operato in bianconero e quanto pesa la sua mancanza?

“Con Bremer in campo, la Juventus ha fatto sei clean sheet nelle prime sei partite di campionato. Un grande difensore si riconosce anche dalla capacità di guidare l’intero reparto e di restituire equilibrio e sicurezza ai compagni. In questo, Bremer, mi ricorda  molto il Thiago Silva delle ultime stagioni al Milan, quello che ha dovuto raccogliere l’eredità di Alessandro Nesta. Un giocatore così è insostituibile”.

Ronald Araújo del Barcellona è uno dei nomi circolati in queste ultime ore per la difesa bianconera. La convince?

“È un difensore di caratura internazionale, un profilo importante che non necessita di presentazioni. Sarebbe un grande colpo, se Giuntoli riuscisse a portarlo in bianconero”.

In estate è arrivato anche Juan Cabal, dall’Hellas Verona. Purtroppo, anche per lui è arrivato un infortunio importante. Come le è sembrato l’approccio del colombiano con il mondo juventino?

“Doveva essere un giocatore propedeutico alle rotazioni, soprattutto per via della sua duttilità tattica, e secondo me si stava comportando discretamente bene. Thiago Motta non avrà perso un profilo nevralgico per l’economia del gioco bianconero, ma ha comunque dovuto rinunciare ad un jolly che gli poteva tornare parecchio utile in una stagione distribuita su cinque competizioni, mettendo nel preventivo anche il Mondiale per Club della prossima estate”.

Nella sessione estiva, per cifre importanti, è arrivato anche Douglas Luiz, che tuttavia non è ancora riuscito a imporsi nello scacchiere della squadra guidata da Thiago Motta. Cosa ne pensa del percorso del brasiliano in bianconero?

“Gli manca, per il momento, l’abito adatto. Douglas Luiz nasce, sì, come un centrocampista centrale d’impostazione, capace di abbinare una grande qualità di distribuzione del pallone a un fisico molto compatto, a tratti esplosivo, ma con un posizionamento più statico davanti alla difesa le potenzialità che possiede vengono limitate, a mio avviso.

Con l’Aston Villa, la scorsa stagione, culminata poi con la convocazione da parte della Seleçao per la Copa América statunitense, aveva fatto molto bene: 10 gol e 10 assist tra tutte le competizioni. E il merito di questo exploit è tutto di Emery. Quando è arrivato a Villa Park, l’allenatore basco ha compreso che il dinamismo e l’intelligenza del giocatore brasiliano gli sarebbero potuti tornare utili in una zona di campo più avanzata, una maggiore libertà espressiva che ha messo in risalto alcuni tratti del suo gioco rimasti imbrigliati in una zona d’ombra fino a quel momento, come il tempismo negli inserimenti e la capacità di conduzione verticale.

Ecco, nella Juventus attuale, questi sono i compiti che dovrebbe svolgere Koopmeiners. Si potrebbe chiamare in appello l’equivoco tattico, certo, ma io credo sia più una questione di necessità per Thiago Motta. In Serie A è fondamentale, ormai, avere un interprete davanti alla difesa dotato di una certa pulizia tecnica e di una grande capacità d’interdizione. E nella rosa bianconera, ad oggi, Douglas Luiz è l’unico ad avere una buona dose di esperienza, in quel tipo di disciplina, che tuttavia sta rappresentando un limite al suo potenziale.

Il tecnico lo sta centellinando ultimamente, ma credo sia un modo di proteggerlo il più possibile da una sovraesposizione che potrebbe portare ripercussioni ancora più dannose in termini di stabilità e di conseguente rendimento per il giocatore”.

E se dovesse fare il nome di un profilo ideale per la Juventus, per quel ruolo specifico?

“Bruno Guimaraes, senza neanche pensarci. Un centrocampista totale, euclideo come pochi e di una classe sopraffina. Sono sette anni che parlo di lui, da quando era all’Athletico Paranaense. Ormai, mi sento un disco rotto, ma per me rientra mani basse tra i cinque migliori centrocampisti al mondo, allo stato dell’arte”.

La Juventus ha deciso di lasciar partire Matías Soulé, volato a Roma, sponda giallorossa. Scelta giusta secondo lei?

“Con il senno di poi, visto il rendimento poco entusiasmante del giocator in giallorosso, in questa prima parte di stagione, sarebbe un esercizio quasi troppo semplice pronunciare sentenze. A mio avviso, la Juventus ha scelto di imprimere uno scarto: puntare tutto su Yıldız e lasciar partire l’argentino, vista la necessità di monetizzare per operare sul mercato.

Non penso che Soulé sia già etichettabile come un flop, ha bisogno di fiducia e di continuità. E non è un fattore scontato, quando nella prima metà di stagione si sono avvicendati tre allenatori. Nella scorsa annata, al Frosinone, tutto il peso creativo era a un solo tempo suo onore e suo onere, una responsabilizzazione che l’ha esaltato e che non può essere gettata nel dimenticatoio dopo pochi mesi.

Quando si alza l’asticella, di conseguenza lievitano anche le aspettative, cresce il peso di ogni pallone che ti passa tra i piedi. Il rodaggio è un processo inevitabile. Con questo, non voglio dire che Yıldız non sia all’altezza di Soulé, non voglio alimentare paragoni tra i due, né convincere qualcuno che l’argentino sia predestinato a diventare un top player indiscusso a stretto giro di posta, ma almeno personalmente rimango un suo estimatore. Ha qualità uniche e la testa al posto giusto, da quel che ho potuto notare, per fare cose importanti”.

Passando sulla sponda granata della città, e a proposito, purtroppo, di gravi infortuni, Duván Zapata è out. L’attaccante colombiano stava trascinando la squadra in una stagione che dopo il suo forfait ha preso una piega non proprio brillantissima. Quanto pesa la sua assenza?

“Pesa enormemente, per un’ampia gamma di ragioni. Al di là del rendimento in campo e della buona vena realizzativa che ha caratterizzato l’inizio della sua stagione (4 gol in 9 presenze tra campionato e Coppa Italia, uno ogni 181 minuti), Zapata è anche il capitano. Vanoli non ha perso solamente un calciatore di rilievo in termini di pura statistica, ma un punto di riferimento per lo spogliatoio.

E poi, certo, è impossibile non rimarcare in matita rossa l’assenza nella rosa granata di un sostituto che potesse essere all’altezza del centravanti colombiano. Ché Adams, per quanto rappresenti un profilo intrigante, sulla lunghezza d’onda dei vari Vlašić, Karamoh e Sanabria, è un tipo di attaccante molto più predisposto a gravitare intorno ad una prima punta di peso per rendere al meglio. Njie, invece, è ancora acerbo per sostenere il peso di un ruolo così nevralgico, nell’economia del gioco granata. Una mancanza come quella di Zapata, allo stato dell’arte, non può mai essere colmata con facilità. Ora si parla di Arthur Cabral, vedremo”.

A prendere il posto di Duván Zapata, almeno in parte, c’è il solito Antonio Sanabria. Il paraguaiano la convince, sotto il profilo del rendimento?

“Il talento di Sanabria è un po’ come una stella cadente nella notte di San Lorenzo, è attesa. Poi, succede che ti distrai un momento, lui segna un gol splendido in rovesciata contro l’Argentina e tutto torna allo status quo, imperturbabile agli sguardi delle pretese e delle aspettative”.

Una domanda a bruciapelo, puramente curiosa. Ad oggi, chi è secondo lei il miglior giocatore sudamericano in circolazione?

“Alexis Mac Allister, il suo calcio è la perfetta armonia tra qualità e efficacia”.

La redazione di Piemonte Sport ringrazia Daniele Pagani per la cortesia e la disponibilità mostrata-

 

 

 

 

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