Troppo emotive, fisicamente deboli, non così competitive. Sono questi alcuni degli stereotipi ricorrenti che spesso le donne si sentono dire quando praticano sport. Nonostante le scienze sociali abbiano largamente smentito questi immaginari, il loro riconoscimento continua a essere compromesso scoraggiandole quindi dal mettersi in gioco.
Sebbene l’Italia abbia finalmente riconosciuto nella sua Costituzione il “diritto allo sport” attraverso la “Carta dei principi dello sport per tutti”, che ne garantisce la tutela in favore di tutte le persone senza distinzione d’età e categorie sociali, di fatto la strada per l’emancipazione femminile è ancora lunga.
“Praticare lo sport è un diritto dei cittadini (e delle cittadine, ndr) di tutte le età e categorie sociali. Lo sport per tutti costituisce un fenomeno socialmente rilevante, poiché assolve a primarie funzioni nei processi di crescita degli individui e della collettività”, così recita La “Carta dei principi dello sport per tutti”, redatta già nel 2002.
E’ dunque non soltanto doveroso, ma altresì urgente promuovere una cultura sportiva che non sia limitante, quanto piuttosto estensiva ed inclusiva affinché essa si faccia promotrice di politiche di sviluppo, di realizzazione, di benessere delle donne e quindi della parità tra i generi. Le donne quindi possono e devono essere parte di questo processo di partecipazione collettiva. Le differenze anatomiche non possono predeterminare i ruoli sociali, l’accesso agli ambienti sportivi o alle risorse.
Essendo una testata giornalistica sportiva, sin dalla nostra costituzione ci impegniamo per portare alla luce storie di discriminazione negli ambienti sportivi in quanto strumento di lotta contro la marginalizzazione e la discriminazione fondata sul genere. Perché crediamo al profondo valore sociale ed educativo dello sport come processo di integrazione delle donne e della collettività.
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