Grazie Sinisa, ci hai insegnato a lottare e amare la vita

Quando ho letto della morte di Siniša Mihajlović, ho subito pensato che ci fosse stato un errore – nonostante i primi a dare la notizia siano stati i colleghi del Corriere della Sera (non quindi un blog a caso). Questo perché Siniša ci aveva convinto che il peggio fosse alle spalle. Forse perché quando scrisse la lettera poco dopo il suo esonero con il Bologna, diede l’impressione a tutti di essere un uomo arrabbiato, pieno di forze e voglioso di tornare in panchina per dimostrare tutta la sua bravura. Forse perché solo qualche giorno fa era uscita l’indiscrezione di un suo possibile approdo ai Rangers di Glasgow. Forse perché la sua battaglia era diventata, poco a poco, anche la nostra, e non volevamo assolutamente perderla.

Siniša Mihajlović, eterno guerriero

Siniša Mihajlović ci lascia all’età di soli 53 anni. Troppo presto per perdere uno dei migliori interpreti del calcio europeo. Troppo presto per perdere un esempio di vita e lealtà. Tre anni fa, poco prima dell’inizio del ritiro precampionato con il Bologna, svelò a tutti di avere la Leucemia in conferenza stampa. Era il 13 luglio 2019. Immediatamente, il mondo del pallone si strinse attorno a lui. Siniša lasciò momentaneamente la guida del Bologna, squadra che lo ha aspettato e supportato fino all’autunno di quest’anno, per iniziare la sua grande partita: quella della vita. Dopo diverse settimane di ricovero il, 26 agosto 2019 lasciò l’ospedale Sant’Orsola per presentarsi al Bentegodi per la prima partita di campionato del suo Bologna contro il Verona, sorprendendo il mondo intero.

Nel mezzo il pellegrinaggio dei tifosi con la sua famiglia a San Luca (Bologna) e, soprattutto, il trapianto di Midollo osseo riuscito a novembre 2019 e il decimo posto in campionato. “So che più tempo passa più riprenderò le forze” aveva detto ai giornalisti non nascondendo qualche lacrima. Subito dopo due anni di controlli e battaglia, ma anche di speranza. Poi, la recidiva. Quando tutto sembrava finito, a marzo di quest’anno l’allenatore ha comunicato che la malattia era tornata e che avrebbe dovuto subire un secondo intervento. Le possibilità di successo erano poche, i medici erano stati sinceri e lui lo sapeva. “Purtroppo queste malattie sono subdole e bastarde, questa poi deve essere molto coraggiosa se vuole sfidarmi di nuovo”, disse.

La chiusura positiva del campionato gli vale la riconferma sulla panchina del Bologna, ma a settembre le cose tornano a cambiare. L’esordio non proprio brillante della squadra porta il club a una decisione drastica: l’esonero. A settembre Miha viene sollevato dall’incarico (al suo posto Thiago Motta, ndr). Una scelta non apprezzata dal tecnico, il quale era convito di poter risollevare le sorti della squadra. “Non capisco questo esonero” aveva scritto in una lettera. “Lo accetto, come un professionista deve fare, ma ritenevo la situazione assolutamente sotto controllo e migliorabile. Faccio fatica a pensare che tutto questo dipenda solo dagli ultimi risultati o dalla classifica e non sia una decisione covata da più tempo. Peccato. Ho cercato di ripagare tutto l’affetto ricevuto con il mio totale impegno e attaccamento alla maglia: non risparmiandomi mai sul campo o da un letto di ospedale”. E poi la rassicurazione, che forse oggi più di allora fa capire l’uomo che è stato: “Le mie condizioni di salute sono buone e in costante miglioramento. Io non mi sto più curando, sto solo facendo controlli sempre più saltuari. Nulla mi impedisce di lavorare e di andare in panchina”.

Siniša Mihajlović ci ha insegnato ad avere coraggio, ad amare la vita e soprattutto di non aver paura della morte. Un uomo verticale, che non ha mai nascosto le sue lacrime e i suoi timori. Per questo dobbiamo dirgli grazie: ha abbattuto barriere e distanze, mostrandoci tutta la forza e la debolezza di un eterno guerriero.

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