Ambiente e cultura: imbrattare opere d’arte aiuta la causa ambientalista?

Il 14 ottobre 2022, due attiviste del gruppo ambientalista “Just Stop Oil” (cioè “Fermate il petrolio e basta”) sono entrate in una sala della National Gallery di Londra e hanno riversato della salsa di pomodoro contro I Girasoli di Van Gogh. Le due militanti hanno successivamente applicato sulle proprie mani della colla per poi incollarsi al muro. L’iniziativa rappresenta evidentemente un’azione a catena. Infatti, una decina di giorni dopo, la stessa sorte è toccata al museo Barberini di Potsdam, in Germania.

Altri due attivisti della cosiddetta Ultima Generazione hanno imbrattato, con del purè di patate Il Pagliaio, un dipinto ad olio di Monet, per poi incollare, con della colla ad azione rapida, le mani sulla parete nell’attesa dell’arrivo della sicurezza. Ma ricordiamo lo stesso attacco in Italia nella galleria degli Uffizi di Firenze, contro la Venere di Botticelli, l’estate scorsa. Due attivisti si sono incollati al vetro che protegge l’opera, mentre un’altra ragazza ha srotolato uno striscione con la scritta “Una generazione no gas no carbone”.

La visibilità di gesti dimostrativi, contemporaneamente criticati e apprezzati, ha generato un eco a macchia di leopardo, soprattutto grazie ai clickbait dei social network. Un movimento per cui è lecito chiedersi se queste iniziative effettivamente siano funzionali alla causa ambientalista. E’ da premettere che nessuno dei quadri è stato effettivamente compromesso, perché protetti da una lastra trasparente, di cui gli attivisti hanno dichiarato esserne a conoscenza.

Le persone stanno morendo di fame, di freddo. Siamo nel pieno di una catastrofe climatica», ha urlato uno degli attivisti al pubblico. “Ho paura perché la scienza ci dice che non saremo in grado di sfamare le nostre famiglie nel 2050. C’è bisogno di purè di patate su un quadro per farci ascoltare? Questo quadro non avrà alcun valore se ci troveremo a lottare per il cibo. Quando inizierete finalmente a sentire?”.

Sulla questione inevitabilmente si apre un grande varco. Se il valore del movimento è più che condivisibile perché pone l’accento su un tema assai urgente, che non può più aspettare e per cui nessuna persona dovrebbe esentarsi dall’interesse; dall’altro lato, le modalità di azione rischiano di sottostimare le finalità del gesto. L’attacco al patrimonio culturale mondiale non è una novità. Basti pensare all’episodio del 29 maggio scorso, in cui a essere presa di mira è stata la famosa Gioconda di Leonardo, al museo del Louvre di Parigi. Autore dell’atto un uomo, fintosi disabile sulla sedia a rotelle. Condizione attraverso cui probabilmente avrebbe eluso il possesso di una torta, scagliata poi contro le opere d’arte. Fortunatamente protetta da una teca di vetro. Non sono mai state chiarite le motivazioni.

Insomma, la rivolta contro i cambiamenti climatici, attraverso l’assedio alle opere arte, potrebbe rimanere circostanziata ai soli click sui social, nulla più. Annoverata così tra gli atti vandalici. Mettendo soltanto in crisi i musei, che si interrogano sul come proteggersi da atti. Oltre a chiudere per giorni i musei, come accaduto al Museo Barberini, che ha deciso di chiudere le porte fino al 31 ottobre. Il punto centrale resta comunque il tema ambientale, che evidentemente passa in secondo piano, prendendosi la scena l’azione. Ma allora, come possiamo far capire alle persone il pericolo imminente? Il cambiamento climatico viene recepito realmente come un’emergenza?

 

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