Probabilmente era in un’epoca sbagliata. È possibile che Gigi Meroni fosse già venuto a conoscenza della DeLorean e dei viaggi nel tempo del Dottor Emmet Brown e avesse deciso di dare un’occhiata ai famosi anni ’50 e ’60 direttamente dal suo 2186. Altrimenti la presenza di quel ragazzo a Torino non si spiega. Con il suo vestiario appariscente e futuristico, con il suo modo di essere artista, con la grazia che in campo lo contraddistingueva: lo chiamavano ‘farfalla’ per i suoi movimenti.
Sono passati esattamente 55 anni da quel 15 ottobre 1967. Il Toro aveva appena vinto contro la Sampdoria, in quella partita c’era stato l’esordio di Aldo Agroppi. Sì, ma la partita più sentita era quella dopo, quella contro la Juventus. Il Toro aveva l’ossatura della squadra che vinse poi due Coppe Italia, quella che anticipò lo Scudetto del 1976. I presupposti per fare bella figura contro i cugini c’erano tutti. Ma la farfalla Meroni non si agitava per quello, aveva un carattere tutto suo, un po’ sopra le nuvole, tutto intento nei suoi dipinti e nell’esporre la sua vena artistica che già aveva utilizzato disegnando cravatte come primo lavoro.
La sera del 15 ottobre, dopo la vittoria contro la Samp, Meroni doveva recuperare le sue chiavi di casa. Entrò con il suo amico e compagno di squadra Fabrizio Poletti presso il Bar Zambon in corso Re Umberto a Torino. Telefonò alla sua compagna. Voleva sposarla, ma lei non riusciva ad ottenere l’annullamento della Sacra Rota del precedente matrimonio e la legge sul divorzio ancora non esisteva. Meroni e Poletti attraversarono la prima corsia di corso Re Umberto, si fermarono attendendo il momento per completare l’attraversamento. Vedendo una macchina fecero un passo indietro, mentre nell’altra corsia sopraggiunse una Fiat 124 a tutta velocità che prese di striscio Poletti e investì la gamba destra di Meroni. La farfalla fu sbalzata nell’altra corsia dove una Lancia Appia lo trascinò per 50 metri. Inutili i soccorsi.
La Fiat 124 era guidata da un diciannovenne di buona famiglia e tifosissimo granata, si chiamava Attilio Romero. Quel ragazzo, figlio del primario di neurologia dell’Ospedale Mauriziano, iniziò poi a lavorare in Fiat ricoprendo ruoli sempre più importanti fino a diventare il portavoce di Gianni Agnelli. Nel 2000 quel ragazzo aveva ormai 52 anni. Nel giugno di quell’anno fu chiamato dal patron del Torino Calcio, Francesco Cimminelli, a ricoprire il ruolo di presidente della società granata.
33 anni dopo quel terribile incidente, Attilio Romero diventò il presidente del Toro. No, non è ricordato come uno dei più grandi numero uno granata. Nel 2005, dopo 99 anni di storia, sotto la sua presidenza il Torino Calcio fallì. Romero chiese scusa, fu accusato di bancarotta fraudolenta e truffa ai danni della FIGC e nel 2008 patteggiò una pena di due anni e sei mesi di carcere.
Meroni aveva 24 anni ma era già nel giro della Nazionale. Il rapporto burrascoso con il CT Edmondo Fabbri gli consentì di giocare una sola partita agli sfortunati Mondiali del 1966. Il Toro, per volontà di Nereo Rocco, lo prelevò nel 1964 dal Genoa e con Nestor Combin formò una coppia d’attacco formidabile in quegli anni.
La domenica dopo la tragedia arrivò. Juventus-Torino si giocò in un clima spettrale. Il compagno d’attacco e amico di Gigi Meroni, Nestor Combin, aveva la febbre alta ma insistette per giocare. I granata vinsero per 4-0 con la tripletta di Combin che esultando dopo il terzo gol alzò i pugni e cercò di colpire il cielo. Meroni ne aveva combinata un’altra delle sue, i compagni vinsero per lui.