“Quello dei dilettanti è un mondo di esaltati allo sbaraglio”: no, non è proprio così

Ogni piramide ha bisogno di una base. Ce lo insegnano alle elementari, forse in quarta o quinta. E anche chi non sarà pratico di forme e calcoli matematici, non potrà che essere d’accordo: non esiste vertice senza una solida base di partenza. Vale per la geometria, vale per il calcio, vale per la vita.

Facciamo un passo indietro. In un mondo in cui sparare sentenze sui social è all’ordine del giorno, un giornalista torinese, accreditato ogni domenica all’Allianz Stadium, critica duramente Ranieri. Dopo il miracolo dei Leicester – spiega – “è solo e esclusivamente vissuto di luce riflessa, in un eccessivo, retorico e ridondante stato di comfort zone mediatica generale”. In tanti replicano, ribattono, ricordano quanto fatto a Cagliari nell’anno che avrebbe poi portato alla promozione in A. Critiche legittime, come pur legittimo è il pensiero dell’autore: d’altronde, in Italia vige (fortunatamente) la libertà d’espressione. Non tutti possiamo essere d’accordo. C’è però un passaggio, nei commenti, che lascia perplessi quanti come noi conoscono e apprezzano la base del nostro calcio: il mondo del dilettantismo.

“Sei il Cassano del calcio dilettantistico”, replica nei commenti un utente. La risposta del giornalista non si fa attendere: “Grazie al cielo non mi occupo di quel mondo di esaltati allo sbaraglio qual è il calcio dilettantistico italiano”. Ricordando il già citato articolo 21 della Costituzione, “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. Lecito. Possiamo però definire davvero il mondo del calcio dilettantistico un sistema di “esaltati allo sbaraglio”?

Potremmo spendere ore a parlare dei sacrifici di chi in Serie D, Eccellenza, Promozione e serie inferiori ci lavora. Presidenti che combattono quotidianamente per tenere in piedi le proprie società, direttori sportivi che sugli spalti dei campi di provincia ci passano interi weekend, giocatori che iniziano ad allenarsi dopo aver staccato dal turno in fabbrica, probabilmente ritardando di qualche ora ancora l’abbraccio con i propri figli, atteso dalla sera precedente. O dei tifosi, che il nome della squadra della propria città ce l’hanno tatuato sul cuore e ogni domenica diventano il dodicesimo uomo in campo, con la sola voce. Potremmo parlare poi di noi, che seguiamo il calcio dilettantistico così come seguiamo la Serie A, senza la presunzione di ricercare raffinatezze tattiche in campionati diversi: ci basta l’emozione, quella non manca mai, neanche in terza categoria.

L’emozione di chi si allena nonostante la stanchezza della giornata, di chi la domenica prova a regalare una gioia ai 30 tifosi sulle gradinate, di chi sceglie la squadra della propria città per sperare in una promozione. O di chi, come Borja Valero, non riesce a fare a meno del campo e sceglie una realtà bella, come quella del CS Lebowski. “È come ritornare a quello che vivevo da bambino. Ci sono tante persone che lavorano insieme, sono uniche”: niente male detto da uno che ha indossato le maglie di Fiorentina e Inter per una vita, partendo dal Real Madrid.

C’è però anche chi il percorso lo ha fatto il contrario, partendo dai dilettanti e arrivando fino alla Serie A, o meglio ancora, sul tetto d’Europa. Come Sarri, che dalla seconda categoria è arrivato ad allenare Empoli, Napoli, Chelsea, Juventus e Lazio. E, bizzarria del caso, anche chi ritiene i dilettanti “esaltati allo sbaraglio” ha in passato elogiato il percorso del mister toscano. “È partito dal nulla, facendo tanta gavetta ed è arrivato in Serie A, ha vinto un’Europa League, ha vinto uno scudetto allenando il più forte calciatore al mondo (Ronaldo, ndr). Sarri è in primis trionfo della meritocrazia, concetto raramente vincente nella vita”, scriveva nel 2021 tal giornalista. O ancora, lo scorso maggio (dopo Juve Siviglia), si chiedeva su Facebook cosa ci facesse Gatti tra i dilettanti fino a pochi anni fa. E siam sicuri che se lo sia chiesto anche di Kayode, Baschirotto, Cheddira e tanti altri ancora.

Di nomi ce ne sarebbero molti, ma senza sciorinare una lista infinita di chi “esaltato allo sbaraglio” non lo è mai stato, ci lasciamo con una domanda. Il mondo del calcio dilettantistico forse non è per tutti: chi cerca un calcio raffinato, minuzie tattiche o tiki-taka può continuare benissimo a guardare la Serie A, come d’altronde facciamo anche noi, perché una cosa non esclude l’altra. Chi però, per mestiere, parla di calcio, ha davvero la necessità di creare tale dicotomia, svilendo un ecosistema calcistico che per quanti problemi abbia, cerca di fare del proprio meglio per creare una buona base per i campionati maggiori?

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