Menabò è un attaccante che sposta gli equilibri. Imponente in area, ma tutt’altro che limitato al gioco spalle alla porta. Sa colpire di testa, ma anche da fuori; è affidabile sui calci piazzati, freddo dal dischetto, capace di leggere i momenti della partita. Un giocatore completo, che obbliga le difese a raddoppiare e apre spazi per chi gli gira intorno. E quando non segna, comunque condiziona.
Il suo ritorno a Biella, arrivato nel finale di questo girone d’andata, ha avuto l’impatto di una scossa. Tre gol in due partite – doppietta al Gozzano, rete anche contro il Vado – ma soprattutto la sensazione netta che la Biellese abbia cambiato volto. Non solo nei numeri, ma nella personalità, nella pericolosità offensiva, nella convinzione con cui attacca l’area.
Il percorso di Menabò parla da solo. Ex Bra e Fossano, ha conosciuto anche il calcio professionistico con le esperienze in Serie C alla Torres e all’Arzignano Valchiampo. A Biella c’era già stato, aveva sfiorato la Serie D, lasciando la sensazione di qualcosa rimasto in sospeso. Il suo ritorno non è stato silenzioso, ma prepotente. Proprio come il suo modo di stare in campo.
La sconfitta con il Vado non ridimensiona la Biellese, anzi. La conferma arriva proprio dal peso specifico di Menabò: con lui in campo, i bianconeri sono sempre dentro la partita, anche contro la capolista. Senza, faticano a trovare la stessa incisività, lo stesso punto di riferimento offensivo, la stessa capacità di far male nei momenti chiave.
Per questo la frase di Sesia non è solo una constatazione tecnica, ma un riconoscimento. Perché oggi, guardando la Biellese, è difficile non pensarlo: c’è una squadra prima e una squadra dopo Menabò. E se il girone d’andata ha restituito certezze, il ritorno potrebbe raccontare una Biellese ancora diversa. Più consapevole. Più pericolosa. E, soprattutto, con Menabò al centro del progetto.