(Adnkronos) – In una Milano che corre veloce e lascia indietro troppi ragazzi, l’arcivescovo di Milano Mario Delpini, in un colloquio con l’Adnkronos proprio nella settimana di Sant’Ambrogio, indica in san Carlo Acutis un compagno di strada capace di parlare all’adolescenza ferita e inquieta di oggi. Un modello “originale”, lontano dalle fotocopie che il conformismo digitale produce, e capace di trasformare la fragilità in ricerca. Per Delpini, Carlo “abita per sempre l’età dell’adolescenza” per dare ai giovani una scintilla di luce. In una città piena di solitudini, la sua storia mostra che anche Milano può diventare luogo di santità quotidiana. E invita i ragazzi a un coraggio nuovo: alzarsi, cercare, diventare protagonisti.
In un suo scritto lei ha immaginato un dialogo tra Carlo Acutis e Gesù, che pone domande sulla vita e la morte. In che modo questo nuovo santo può parlare ai giovani oggi, che spesso si confrontano con ansie, dubbi e fragilità?
“In una delle sue frasi più conosciute Carlo ricordava che “Tutti nascono originali, ma molti muoiono come fotocopie”. Invitava, cioè, a non permettere che la superficialità, la pigrizia o la paura del giudizio degli altri soffochino l’originalità di ognuno di noi. In questo percorso Carlo, nonostante non provenisse da una famiglia particolarmente praticante, si è avvicinato alla fede: pregava il rosario e andava a Messa ogni giorno alla chiesa di Santa Maria Segreta, il cui oratorio ora porta il suo nome. La preghiera, per Carlo, non era un adempimento da eseguire, ma un desiderio che rende rassicurante incontrare il Signore e dialogare con lui su dubbi e paure. Il suo esempio dice a ogni adolescente che non è sbagliato avere dubbi. Piuttosto sbagliato è rinunciare a cercare”.
Lei ha detto che Carlo Acutis “abita per sempre nell’età della adolescenza per farsi amico di tutti coloro che transitano… e incoraggiarli a desiderare di diventare adulti”. Quali elementi di quel modello adolescente possono diventare punti di riferimento (anche in una grande città come Milano) per i ragazzi?
“Essere adolescenti a Milano sembra che sia diventata una cosa complicata. Alcuni raccolgono segnali preoccupanti di un malessere diffuso. Io prego san Carlo Acutis perché regali a ogni adolescente di Milano (e dintorni) almeno un pensiero, almeno una scintilla di luce, almeno un appiglio per compiere il passo avanti che la vita, come una parete di montagna, richiede a chi vuole arrivare in cima. La sua vita, per quanto breve e molto “ordinaria”, può diventare riferimento per i giovani perché ha vissuto la sua adolescenza come un tempo in cui vivere la propria vocazione, un tempo per coltivare le proprie capacità, le proprie risorse e il proprio tempo a servizio del bene. In una città problematica ma anche scintillante, con grandi squilibri ma anche enormi opportunità, una città in cui convivono spinte solidali e tensioni individualistiche, la vita di Carlo mostra come anche Milano è un luogo in cui si può diventare santi”.
Uno dei problemi che molti giovani sperimentano è la solitudine, soprattutto in una città come Milano. Lei ha osservato che “Milano è piena di solitudini”. In che modo la Chiesa, anche valorizzando l’eredità di Acutis, può aiutare concretamente a superare queste solitudini? Lo sta facendo?
“Milano è piena di solitudini: alcune sono rumorose, altre nessuno vede. La Chiesa non deve accontentarsi di denunciarle: deve abitarle. In una città segnata dall’individualismo, sembra che, soprattutto i giovani, preferiscano chiudersi in sé stessi invece che cercare la relazione con l’altro. La Chiesa può diventare casa per chi si sente smarrito e lo sperimentiamo nelle parrocchie e negli oratori. C’è da dire, in realtà, che per Carlo Acutis l’oratorio non ha avuto una grande importanza, per quanto io ne sappia. Forse anche lui ha sentito un po’ di solitudine mentre percorreva il suo itinerario così originale. Ma l’oratorio, effettivamente, può essere quel rimedio alla solitudine se effettivamente le relazioni sono curate anche meglio delle iniziative e le persone sono più importanti dell’organizzazione. Io però credo che non c’è solitudine che non sia visitata dal Signore, se la mente, il cuore, l’anima apre la porta a Colui che sta alla porta e bussa…”.
Lei ha anche detto che i giovani oggi rischiano di essere “liberi solo di comprare”. In un contesto in cui il consumismo e l’individualismo sono forti, l’esempio di Carlo Acutis può rappresentare un’alternativa culturale e spirituale che parli al desiderio autentico dei ragazzi, non solo al conforto immediato?
“Ecco: trovarsi a proprio agio nella storia, nella città, nel proprio corpo. Non perché la storia, la città, il proprio corpo siano perfetti. Ma perché sono, obiettivamente, la grazia di vivere e di vivere così. Mi sembra che san Carlo Acutis si sia trovato a proprio agio, si sia divertito, abbia gustato le cose belle della terra e abbia vissuto anche con disinvolta semplicità la malattia e la morte. Anche nel corpo malato c’è una “autostrada verso il Cielo” come nel corpo crocifisso di Gesù. All’economia di oggi “servono” consumatori. Al bene della società servono invece persone che si trovano a proprio agio nel presente e vedono la possibilità di trovarvi una autostrada per correre avanti, verso l’età adulta; avanti, verso il compimento della propria vocazione; avanti, fino al cielo!”.
Qual è l’importanza dello stile digitale e mediatico nel “messaggio” di Carlo Acutis — ragazzo che usava internet e i mezzi digitali — e come la Chiesa milanese può aiutare i giovani a usare i social, la rete, non solo come consumo ma come senso di comunità, di dono, di gratuità?
“Le solitudini di cui parlavamo poco fa sono a volte rese ancora più profonde dalle tecnologie digitali, dai social media che chiudono tanti ragazzi dentro le loro stanze. Carlo è morto quando l’era dei social ero solo agli albori ma già si vedevano i primi segnali di questa rivoluzione digitale. Con la semplicità di un ragazzo ha mostrato che internet può diventare anche altro: un luogo di annuncio, di ricerca e di comunione. La Chiesa può aiutare i giovani se insegna loro questo sguardo: non usare la rete per consumare, ma per creare legami di amicizia, non per mostrare solo l’esteriorità della vita, ma per raccontare ciò che è vero. Come Chiesa ambrosiana, in particolare attraverso la Fondazione Oratori Milanesi, cerchiamo di sviluppare progetti di formazione che vadano in questa direzione”.
Guardando al domani: con la figura di Carlo Acutis e con la sua proposta pastorale per Milano, quale speranza concreta e quali sfide reali propone oggi ai giovani ambrosiani per ‘alzarsi’, non rimanere ‘dei buoni a nulla’, ma essere protagonisti della vita sociale e spirituale della città?
“Milano ha bisogno di giovani che, con l’aiuto degli adulti, non si rassegnino alla tristezza del mondo, ma che, come Carlo, sappiano dire che la santità è una possibilità per tutti. Io sono convinto che quello che oggi è più necessario sia la speranza. C’è un modo di vivere che riconosce l’aspetto desiderabile della vita, del diventare adulti, dell’abitare la città. L’aspetto desiderabile della vita, di ogni vita, breve o lunga, faticosa o facile, complicata o semplice è rivelato solo dalla promessa di felicità di Gesù. Ma c’è chi è interessato a questa promessa”. (di Andrea Persili)
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