Il calcio femminile è costellato di storie di ragazze che per giocare ed allenarsi devono macinare chilometri su chilometri quasi quotidianamente. Se nasci in una delle grandi città italiane è più facile, qualche squadra in diverse categorie dove poter giocare la trovi, ma se nasci ad Aosta devi mettere in conto che la tua seconda casa sarà sì il campo da calcio, ma la terza per forza di cose sarà la tua automobile. Aostana è la numero uno dell’Independiente Ivrea che tutti ha stupito nell’andata del Girone A della Serie C: Giorgia Mognol. Ci sono le sue mani, la sua passione e anche la sua benzina sulla straordinaria striscia di nove risultati utili consecutivi conseguiti dalle eporediesi. Va poi aggiunto il lavoro di insegnate e il ruolo di istruttrice dei Primi Calci 2014 dell’Aygreville. Questo è il quadro attuale delle attività di Giorgia Mognol, portiere classe ’93, ma è solo la punta dell’iceberg di una bella carriera vissuta sempre con i guantoni o quasi. Una carriera in cui c’è il sapore di casa, il granata arrivato negli anni universitari e un matrimonio perfetto con la maglia orange che della crisi del settimo anno se ne fa beffe. Ma tutto deve avere un ordine.
Giorgia, come ti sei avvicinata al mondo del calcio e quali sono stati i tuoi primi passi all’interno di una società?
Io sono figlia unica, ho due cugini maschi che giocavano a calcio e io stavo sempre con loro. Un giorno decido di iscrivermi anche io in una società e vado nel club dove il presidente è Giulio De Ceglie, il Centro Giovani Calciatori Aosta. Giocare con i maschi secondo me è una cosa che ti forma molto di più, è una cosa che consiglio. Poi dipende da che età una comincia a giocare a calcio, se inizi a 12 anni ormai coi maschi non ci giochi più. Io a 12/13 anni sono passata alla squadra femminile de Le Violette con cui ho fatto il Settore giovanile. Ho esordito in Prima squadra in una partita di Coppa Italia contro il Fossano. Ero molto giovane e una stagione avrei dovuto fare da riserva, per giocare ho deciso di cambiare ruolo e fare la centrocampista in quell’annata, ma poi sono tornata tra i pali.
A 18 anni è arrivato il Torino. Come è avvenuto quel passaggio e com’è stata quella prima esperienza lontana da casa?
Il mio arrivo al Torino coincide con l’inizio dell’Università dove ho fatto Scienze Motorie. Mi hanno chiamata loro, in realtà io comunque non vedevo l’ora di lasciare Aosta. Quell’anno erano appena retrocesse in Serie B. Dal punto di vista della gruppo mi sono trovata molto bene, avevo compagne di squadra forti come Giorgia Tudisco e Raffaella Barbieri. Quando ero al Toro mi chiamarono dal Cuneo. Io rifiutai perché volevo giocare e lì avrei fatto da secondo, e poi era molto lontano. Già Torino era distante, ma Cuneo poi… Col senno di poi chissà se ho fatto la scelta giusta visto che poi il Cuneo è stato assorbito dalla Juventus.
Ormai quasi sette anni fa invece hai scelto Ivrea. Cosa ti ha spinta a cambiare?
Sono arrivata a Ivrea nel primo anno in cui è nata questa squadra, quando ancora non era Independiente ed era legata alla maschile. L’ho scelta sicuramente per una maggiore vicinanza a casa, non è comunque attaccata ma stavo facendo la magistrale ed ero più libera da orari. Ma soprattutto l’ho scelta perché c’erano persone competenti sul calcio e in particolare sul calcio femminile.
L’Independiente al primo anno di C ha avuto momenti difficili poi, da un’ossatura già di per sé buona, sono arrivate calciatrici importanti come Ambrosi e Lavarone e poi Montecucco. Questo è stato il definitivo salto di qualità?
Sì, è stata una stagione con qualche difficoltà. C’erano un po’ di teste calde, persone che hanno il curriculum ma che non centravano molto con questa realtà. Poi si sono aggiunte invece giocatrici molto forti. Il nostro problema è sempre che creiamo tanto e concretizziamo poco. Anche se poi è arrivata Montecucco che questo problema lo ha risolto, lei è una persona che fa squadra a tutti gli effetti.
Questa è una stagione finora estremamente positiva per l’Independiente. Dopo la batosta contro l’Orobica è scattato qualcosa?
Quella partita non ero presente perché è stata giocata in settimana alle 14.30, un orario un po’ assurdo per chi lavora. Contro l’Orobica è andato tutto male però il vero problema sono state le due sconfitte successive contro Angelo Baiardo e Real Meda che sulla carta erano più abbordabili. In quel momento l’ambiente non era tranquillo e anche il mister è stato messo in dubbio. Lo spartiacque è stata la partita in Sardegna contro il Su Planu. Da fuori poteva sembrare una partita facile, ma per noi anche psicologicamente non lo era. Abbiamo vinto e da quel momento le cose sono decisamente migliorare e abbiamo ottenuto nove risultati utili di fila. Il tutto anche con molte infortunate: Sala è stata recuperata, ma giocatrici per noi importanti come Toniolo, Mussano e Lavarone sono ancora fuori. Anche prima della partita contro le Azalee eravamo un po’ titubanti vista la pausa, invece è stata una grande partita.
Sei cresciuta calcisticamente ad Aosta dove qualche realtà di calcio femminile c’è stata. Com’è la situazione attuale invece del calcio in rosa in Valle d’Aosta.
Dopo Le Violette non c’è stato più niente. Tante squadre si sono formate ma sono durate magari una stagione o due e con le stesse persone che giravano. Adesso però c’è l’Aosta Calcio 511 che sta lavorando molto bene sulle giovani con l’obiettivo futuro di formare una Prima squadra e una Juniores. Penso che questa sia la strada giusta. Loro hanno anche una squadra di calcio a 5 che sta facendo molto bene.
Oltre al calcio giocato tu alleni anche una squadra di bambini all’Aygreville. Segui i 2014 perché è anche un po’ quello per cui tu hai studiato insegnare le basi o anche perché non facendo veri e propri campionati sei più libera?
Adesso sono una decina di anni che alleno. Prima ero al Quart che ora è diventato Fenusma. In realtà è un impegno che richiede molto tempo perché giochiamo al sabato, ma essendo Academy Juventus abbiamo poi anche il torneo domenicale delle affiliate. È capitato anche di andare ad allenare i ragazzi di domenica a Torino e poi di andare in Lombardia per giocare con l’Independiente.
In un’altra intervista dello scorso anno avevi detto che avresti fatto ancora sicuramente una stagione: questa. Potrebbe essere veramente la tua ultima?
L’idea è quella. Adesso che ci sono più aspettative, che l’asticella si è alzata e che si comincia a pretendere è difficile conciliare tutte le cose. Faccio l’insegnante di sostegno e molte riunioni sono in orario serale: mi capita di dover saltare degli allenamenti. L’inverno è duro, però vedremo, deciderò più avanti cosa fare.