Adinolfi: “Wokismo e islamismo, ecco l’alleanza che minaccia l’Occidente”

(Adnkronos) – Nel suo nuovo libro “Wokismo e islamismo”, il giornalista e attivista politico Mario Adinolfi sostiene che due dei fenomeni culturali più discussi degli ultimi anni – l’universo woke e il fondamentalismo islamista – abbiano trovato, contro ogni logica apparente, una forma di convergenza. Per lui non si tratta di un paradosso ma di una dinamica storica, politica e culturale precisa, che ha come obiettivo la distruzione della tradizione occidentale giudaico-cristiana. Nel suo colloquio con l’Adnkronos fa un’ampia riflessione su identità, diritti, scuola, società, sistema economico, tecnologia e politica italiana.  

Nel libro definisci il wokismo una “subcultura fragile”. Ma se è così debole, perché avrebbe preso il sopravvento in molte società occidentali? E in Italia, quanto è diffuso?
 

“Il wokismo è arrestabile. Lo dico da anni. È una subcultura, un pensiero debole, anzi debolissimo, quasi di cartapesta. Ma perché non si ferma? Perché manca il coraggio politico. In Italia nessuno si assume la responsabilità di tracciarne i limiti. Non basta la battaglia intellettuale: servono atti politici chiari. Trump, al suo primo giorno da presidente, firma un executive order che definisce i generi: sono due, maschio e femmina. Non parla di tasse, non parla di economia: parla di identità. In un solo atto dà una direzione culturale al suo mandato. Da noi nulla di tutto questo. Paura, timore di essere additati dalla sinistra, e alla fine immobilismo. L’intimidazione culturale è il motore dell’avanzata woke. Ma negli Stati Uniti il vento ha iniziato a cambiare”. 

Wokismo e islamismo, pur essendo incompatibili, avrebbero trovato una convergenza culturale e politica. Com’è possibile?
 

“È successo già nel Novecento. Due ideologie opposte – l’egualitarismo comunista e la supremazia razziale nazista – si sono incontrate nel Patto Ribbentrop-Molotov. Gli opposti convergono quando hanno un nemico comune. Oggi il nemico comune è l’orizzonte giudaico-cristiano. Lo vedi nella fascinazione woke per l’islamismo propal, nelle università americane, nelle manifestazioni dove sventolano insieme bandiere arcobaleno e vessilli islamisti. È la rappresentazione plastica di quella saldatura”. 

Una parte ampia del libro, e anche della tua riflessione pubblica, riguarda il trattamento dei minori e la cosiddetta affermazione di genere. Perché la consideri la questione decisiva?
 

“Perché negli Stati Uniti abbiamo assistito a un fenomeno enorme: 300.000 minorenni trattati con bloccanti della pubertà in dieci anni. E in certi Stati basta compilare un modulo. Io vivo negli Usa tre mesi l’anno, vedo la deriva con i miei occhi. È diventato un automatismo culturale. Basta vedere il caso di Elon Musk, per anni finanziatore democratico. Poi, quando suo figlio inizia la transizione, lo definisce ‘morto’ (che poi è lo specchio della logica del dead naming). Da lì cambia completamente la sua posizione, e probabilmente cambia il destino delle presidenziali.  

In Italia questo tema non è al centro del dibattito come in California o nei Paesi Bassi. Dove si mette il confine sull’autodeterminazione?  

“Forse non c’è lo stesso dibattito, ma al Careggi di Firenze la triptorelina viene somministrata anche a bambini che non hanno nemmeno dieci anni. I Paesi scandinavi hanno fatto marcia indietro: Svezia, Norvegia, Finlandia, Regno Unito con la chiusura della clinica Tavistock. Dobbiamo farlo anche noi, perché prima dei 18 anni l’identità è instabile per definizione. Io stesso ricordo la confusione sessuale dell’adolescenza. Non credo all’autodeterminazione assoluta. Esiste il bene del bambino, e lo Stato deve garantirlo”. 

Da dove parte la tua battaglia culturale?
 

“Non può che partire dalla scuola, perché costruisce l’identità di un Paese. Io voglio il Presepe nelle classi. Voglio che si canti ‘Tu scendi dalle stelle’. Non perché debba essere un obbligo religioso, ma perché è la nostra storia. Uno studente di famiglia islamica può fare benissimo il pastorello, ma non possiamo pensare di cancellare il Natale o la sua simbologia per non infastidire chi ha tradizioni diverse. Il problema è la paura della nostra identità.” 

In che modo le grandi aziende hanno contribuito alla diffusione della cultura woke?
 

“Per paura di perdere business. Le corporation si sono fatte imporre standard valoriali da lobby molto piccole ma molto aggressive. È il meccanismo che a un certo punto portò alla cancellazione di piattaforme come Parler, non per decisione politica, ma perché i provider gli avevano tolto i server. Ora però le aziende stanno capendo che quella lobby è minoritaria. E l’effetto dell’acquisizione di X da parte di Musk ha accelerato questa consapevolezza. Io sui social venivo bloccato un giorno sì e l’altro pure perché bastavano poche segnalazioni per sospendermi il profilo. Da quando è tornato Trump e i leader di Big Tech si sono allineati contro la censura, posso dire di nuovo quello che penso”. 

Accusi il governo di mancanza di coraggio.
 

“Vorrei che prendessero posizione contro le minacce alla libertà di espressione, come la nuovissima delibera dell’AgCom che promette di multare con 250mila euro gli influencer che si rendono colpevoli di hate speech o generica ‘discriminazione delle minoranze’. E chi decide se mi sono macchiato o no di quella colpa? L’AgCom stessa, che mette l’asterisco nei suoi moduli, e già mi fa capire da che parte sta sull’ideologia transgender? Un governo di centrodestra dovrebbe intervenire. Invece non succede nulla. Vale anche per i farmaci che bloccano la pubertà: i laburisti inglesi – i laburisti! – li hanno vietati. Da noi non un ministro che prenda posizione. Che dire dell’aborto, io per le mie posizioni mi prendo insulti, minacce, cause e denunce. Quando presentavo il libro doveva intervenire una scorta armata. Non voglio qualcuno che mi dia ragione, ma qualcuno che dica: Adinolfi ha diritto a esprimere le sue idee”.  

Tu hai conosciuto Charlie Kirk e sposi molte delle battaglie che portava avanti. Negli Stati Uniti esiste una rete fatta di tv, giornali, podcast, think tank che muovono milioni di dollari e spostano intere elezioni. Come mai qui il “tuo mondo” sembra più isolato e frammentato?  

“Anche qui c’è un mondo editoriale, un mondo culturale, un mondo cattolico e non solo, che mi segue. Quando mi sono candidato premier con il Popolo della Famiglia, ho ricevuto 219mila voti. Crozza mi prendeva in giro per il mio 0,7%, ma si trattava di persone che mi hanno votato sapendo che non avrei mai potuto vincere, 219mila militanti puri. Mica male. Con Kirk scherzavo dicendo che lui aveva “solo” 280mila iscritti alla sua associaizone Turning Point: i miei elettori, facendo una proporzione tra Usa e Italia, erano molti di più…” 

Bene, ma a parte te, dove sono i combattenti anti-woke in Italia? Chi sono i nostri Joe Rogan, Matt Walsh, Ben Shapiro, Tucker Carlson?
 

Penso per esempio a Giuseppe Cruciani, che pur partendo da una posizione completamente diversa dalla mia, radicale, libertaria, dà voce a una ribellione contro il politicamente corretto. ‘La Zanzara’ è uno degli show/podcast più ascoltati d’Italia, e da moltissimi giovani. Per questo credo che anche qui le cose possano cambiare, c’è un fermento nuovo. Persino Fedez, che negli anni scorsi era considerato il paladino delle battaglie arcobaleno, ha scritto nella sua autobiografia: “Ad Alessandro Zan preferisco Mario Adinolfi: quando ho invitato Zan al podcast Mucchio Selvaggio, non è venuto perché diceva di non voler legittimare l’avversario. Invece lo ha fatto perché lo teme. Dialetticamente, Adinolfi lo uccide”. (di Giorgio Rutelli) 

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