(Credit foto: Lavinia Quagliotti)
È calato il sipario, e lo “spettacolo” andato in scena non è altro che la triste realtà dei fatti: l’ennesimo esempio di retorica tossica rivolta al calcio femminile. Il soggetto è noto a tutti: l’amichevole disputata dalla Nazionale svizzera, terminata con una sconfitta per 7-1 contro l’Under 15 del Lucerna.
Sì, perché quando si tratta di celebrare i successi del calcio femminile, il mercato — o quel che si cela dietro tale definizione — decide che “al pubblico non interessa abbastanza”, che “non si può forzare un prodotto che non tira”, e che dunque è meglio tacere. Ma basta un episodio come questo per capovolgere la narrazione: all’improvviso, la notizia diventa ghiotta, irrinunciabile, degna delle prime pagine e delle condivisioni virali.
Non solo: alcuni magazine, solitamente silenziosi e disinteressati sul tema, escono dalla loro comfort-zone, arrivando persino a mettere “like” a commenti del tipo: “Ma poi queste vogliono anche i milioni?”. E lì, con chirurgica precisione, si svela la linea editoriale: alimentare il disprezzo nei confronti del movimento femminile, gettando legna sul fuoco di un odio che esiste, eccome se esiste.
Attenzione: informare non è sbagliato. È invece discutibile, infatti, il silenzio iniziale della Federazione svizzera, che avrebbe dovuto affrontare la questione con trasparenza. Ma ciò che si è visto è davvero informazione? O non piuttosto il solito, misero tentativo di acchiappare qualche click, di compiacere la pancia del pubblico, offrendo pane e spettacolo all’arena digitale che invoca sangue e derisione in una scena degna del ‘Gladiatore’?
Perché alla fine, la logica è sempre quella: fomentare lo scontro tra “maschi e femmine”, come se il calcio fosse ancora un campo di battaglia tra sessi, più che un terreno di gioco. E mentre si ride di una Nazionale che perde contro dei quindicenni, si ignora la più elementare delle verità: la biologia esiste, le differenze fisiche pure. Ma non è su quello che si giudica il valore di un’atleta.
La retorica, invece, è subdola: una donna che perde contro un uomo non è abbastanza brava, non è degna di calzare i tacchetti. Anzi, se osa chiedere un salario, allora è anche pretenziosa e ‘non comprende le logiche di mercato’.
E qui il tifo medio raggiunge il suo apice grottesco, quando si scaglia contro l’aspetto economico: “Ma queste vogliono i milioni?” No. Le calciatrici non chiedono ciò che guadagnano i loro colleghi uomini. Chiedono dignità salariale, il riconoscimento della loro professione e il diritto a costruirsi un futuro attraverso il proprio lavoro.
La calciatrice spagnola Athenea del Castillo, in un’intervista a El Partidazo de Cope, ha dichiarato così:
“Non mi piace quando paragonano il calcio maschile a quello femminile. Noi vogliamo fare il nostro percorso, senza doverci equiparare a nessuno. ‘Volete guadagnare quanto noi!’ ci dicono, ma non è vero. Io non voglio guadagnare quanto Vinícius, voglio uno stipendio minimo che mi permetta di risparmiare per il futuro, per avere una base quando mi ritirerò. Il calcio femminile deve avere il suo proprio cammino. So quanto genero, e so anche quanto lavoro ancora ci sia da fare, ma ci stiamo lavorando.”
Ed è proprio questo il punto: ma fino a quando il calcio verrà raccontato solo attraverso il filtro del pregiudizio, non sarà mai davvero il gioco più bello del mondo, sarà solo un triste specchio della società più grottesca e cruda.
var url616678 = “https://vid1aws.smiling.video//SmilingVideoResponder/AutoSnippet?idUser=1381&evid=616678”;
var snippet616678 = httpGetSync(url616678);
document.write(snippet616678);