Non siamo modelle con i tacchetti: il valore delle calciatrici va oltre i pregiudizi

Sono trascorse poche settimane da quel 25 novembre, giornata in cui tutti si prodigano a spendere buone parole contro la violenza di genere, disegnando un simbolo rosso sul volto e manifestando disprezzo verso quegli “uomini” che, con scarso senso morale, esercitano violenza fisica e verbale su mogli, compagne, fidanzate, colleghe, amiche, sorelle, e così via.

Eppure, nonostante i discorsi toccanti e le iniziative di sensibilizzazione, la retorica che circonda il calcio femminile resta sempre la stessa: retrograda, ignorante, volgare. A poche settimane da quel giorno, le atlete sono ancora vittime dell’incubo delle frasi maschiliste: una narrazione tossica che sembra perpetuarsi come un ciclo inesorabile nel tempo. La troviamo ovunque: nei commenti degli utenti sulle principali piattaforme social, nei titoli di giornale, nelle parole scambiate sui campi di provincia. Il maschilismo persiste negli allenamenti, nelle competizioni del fine settimana e nella retorica giornalistica.

Non siete stanchi di definire le donne inadatte al gioco del calcio? Di vederle “belle ma sprecate” in un paio di scarpe con i tacchetti? Di sminuire ogni loro passaggio, gol o parata, con la presunzione che Voi lo avreste fatto meglio?

All’estero, il calcio femminile viene apprezzato, valorizzato e sostenuto. Le bambine sognano di diventare la prossima Alexia Putellas (per citare un esempio). In Italia, invece, siamo ancora bloccati a chiederci se la convocazione in Nazionale di Eleonora Goldoni sia stata una mera mossa di marketing (come se i follower su Instagram potessero vincere una partita di calcio!). Intanto, descriviamo Alisha Lehmann come “la fidanzata di…” e riduciamo le calciatrici a un’estetica da passerella.

Questa mentalità arretrata si riflette nel disinteresse verso il movimento. Basta guardare il recente derby di Milano: cinque gatti sugli spalti della Scala del Calcio, uno dei luoghi più iconici del panorama calcistico internazionale.

Nessuno vi obbliga ad amare il calcio femminile, ma almeno fate lo sforzo di rispettarlo. Non chiamateci “modelle o influencer con i tacchetti”. Noi tutte siamo calciatrici, atlete, e il nostro valore non dipende dal vostro giudizio superficiale.

 

 

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