La retorica contro Benedetta Pilato è la prova che il nostro paese non è pronto per lo sport

PARIGI – E’ tornata la fantastica ricorrenza dei Giochi Olimpici, dove non solo i nostri atleti hanno la possibilità di dimostrare il loro valore vivendo la competizione sportiva più importante e storica del mondo, ma è anche il momento in cui 60 milioni di italiani si improvvisano allenatori, atleti e campioni olimpici mancati.

Le critiche e il giornalismo becero nei confronti delle parole di Benedetta Pilato, nelle dichiarazioni a caldo post gara, rappresentano a pieno l’incapacità italiana non solo di comprendere lo sport, ma anche di scindere il becero tifo da stadio, paninozzo e birra, da quello che rappresentano le Olimpiadi: una competizione che, alle origini della sua ascesa, era in grado di far cessare, seppur temporaneamente, le attività belliche per unire i popoli nello sport.

È il giorno più bello della mia vita” esordisce Benedetta nell’intervista, affermando che le sue lacrime sono di gioia, in un pianto emozionato che, dopo una grande gara, l’ha vista perdere l’occasione di portare a casa una medaglia per un centesimo di secondo. Una beffa che la dura legge dello sport a volte impone, perché sì: lo sport dà tanto, ma è capace di togliere tutto, anche in un centesimo di secondo.

Eppure, anche nella sconfitta, l’appena diciannovenne Pilato ha saputo tramutare un momento di crisi, in un’occasione per celebrare il proprio merito, i sacrifici e la vittoria delle altre concorrenti.

Le parole dell’ex olimpionica Elisa Di Francisca, della giornalista Rai nel post intervista e di tutti coloro che, seduti comodamente dal proprio divano di casa, hanno denigrato la performance di Pilato, sono parte di quella narrazione tossica che vede nella sconfitta sportiva un fallimento da condannare.

Non ho capito niente, ci è o ci fa?“, afferma l’ex schermidrice con fare arrogante, “ma veramente?“, replica la giornalista nel momento in cui, da parte di Benedetta, arriva una risposta di gioia, piuttosto che di disperazione.

Benedetta poteva fare di più? Probabilmente sì.

Dobbiamo festeggiare questo quarto posto come una vittoria? Certamente no.

Dobbiamo riconoscere il merito di un’atleta che, a 19 anni, è la quarta miglior atleta del pianeta? Assolutamente sì.

Non è una questione di buonismo o di voler per forza evitare di criticare, ma lo sport, quello vero, quello che incarna (o dovrebbe) lo spirito olimpico, non lascia spazio alla retorica distruttiva che vede nella sconfitta il fallimento assoluto; nella dura legge sportiva, vi sono le vittorie e le sconfitte, non vi sono fallimenti.

Benedetta Pilato, pur consapevole della sconfitta, è riuscita non solo a dare una grande lezione di sport, ma anche a incarnare ciò che il motto olimpico stesso (“Citius, Altius, Fortius”) rappresenta.

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