Errare humanum est, ma qui si chiede più empatia

Non vogliamo tediarvi con il caso Rosario Ligato, ma le tante testimonianze arrivate a corredo dell’articolo pubblicato nel tardo pomeriggio di ieri (leggi qui) ci hanno fatto capire che c’è un problema: la poca empatia da parte della classe arbitrale verso allenatori, giocatori e dirigenti. Prima di entrare nel merito occorre una premessa. Nessuno, e ripetiamo nessuno, su un campo da calcio può ritenersi un santarellino. E molte volte, sia per lo stress dovuto dall’andamento della partita, sia per l’arroganza e la stupidaggine di alcuni tifosi, la terna arbitrale deve subire insulti gratuiti e ingiustificati, o in alcuni casi anche pugni e calci. Questo perché la cultura del nostro paese non è mai riuscita ad imporsi contro l’ignoranza di una certa fetta di popolazione ed è una cosa di cui ancora oggi, a partire da chi scrive, ci vergogniamo immensamente.

Ora che la premessa è stata fatta, possiamo entrare nel merito della questione. Da parte degli addetti ai lavori non viene mai messo in discussione l’errore, che è umano e che commettiamo tutti. Lo commette il giocatore in campo, l’allenatore in panchina e anche noi giornalisti seduti in tribuna o in redazione. Figuriamoci se un ragazzo di 20-25 anni, il più delle volte da solo, e quindi senza l’aiuto dei due assistenti, non può sbagliare. Il problema emerso dalle tante testimonianze arrivate alla redazione di Piemonte Sport è però la mancanza di empatia.

Proviamo a spiegarci meglio. Se Rosario Ligato fosse stato squalificato per un solo turno, siamo certi che, nonostante l’amarezza per via di una punizione immeritata, avrebbe ingoiato il boccone amaro senza fare grandi storie. In questo caso diventa difficile accettare l’errore. Perché oltre al danno c’è anche la beffa. Un caso simile capitò a Davide Iguera, tecnico del Caselette. “Piena solidarietà a Rosario Ligato”, scrive. “Purtroppo per il giudice sportivo fa fede quello che viene scritto a referto, anche se alcune volte non corrisponde alla realtà. Non sono un santerello e di squalifiche giuste ne ho prese, ma nel 2012 presi 5 giornate per gravi insulti all’arbitro nel rientrare negli spogliatoi a fine gara. Peccato che io fossi in campo a colloquiare con l’amico mister avversario, il quale testimoniò anche (così come tutta la dirigenza avversaria), ma il direttore non ammise di essersi sbagliato. Da allora sto lontano da tutti a fine gara”.

Bisognerebbe aprire un dialogo tra LND Piemonte Valle d’Aosta e l’Aia territoriale con le società dilettantistiche piemontesi e i media sportivi. Chi se ne frega degli errori, ma se arrivano riconosciamoli e proviamo a metterci una pezza invece di sparare sulla croce rossa nel referto di fine partita. Questo messaggio deve passare. Da una parte e dall’altra, ovviamente. Bisogna fare fronte comune. Perché tutto il movimento è sulla stessa barca, non ci sono privilegiati in questo momento. Se l’Aia si lamenta per la (terribile) mancanza di arbitri, l’intero movimento calcistico può lamentarsi per la mancanza di risorse e di nuovi iscritti.

Siamo più empatici, non mettiamo in croce nessuno. Cerchiamo di collaborare e magari qualcosa cambierà. L’importante è cercare di mettersi nei panni negli altri. Allenatori e giocatori ci stanno provando, ma la domanda che tutti si pongono adesso è: anche gli arbitri lo stanno facendo?

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