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Primario arrestato, nefrologi: “Dialisi inutili? Inchiesta valuterà, ma è un caso isolato”

di AdnKronos
10 Dicembre 2025 5 min lettura

(Adnkronos) – Sarà la magistratura a stabilire se, nel caso del primario dell’ospedale Sant’Eugenio di Roma Roberto Palumbo, arrestato con l’accusa di aver dirottato pazienti in centri privati in cambio di soldi, ci siano state dialisi anticipate rispetto a possibili alternative o scoraggiate, se a domicilio (di minore impatto per il malato), per favorire i centri accreditati. Insomma, se ci sono state indicazioni cliniche inappropriate “lo valuterà l’inchiesta. Di sicuro si tratta di una vicenda isolata e i pazienti possono stare tranquilli perché la nefrologia, oggi, va in una direzione totalmente contraria. Ovvero: si punta a tardare il più possibile la dialisi.  

Non solo. La prospettiva, non troppo lontana, è di mandare in soffitta questo tipo di terapia puntando su alternative che meglio si conciliano con la qualità della vita”, spiega all’Adnkronos Salute Luca De Nicola, presidente della Società italiana di nefrologia (Sin) e docente di Nefrologia all’università della Campania Luigi Vanvitelli di Napoli. 

Oggi, ricorda De Nicola, rispetto alla dialisi classica “abbiamo altri strumenti, altre terapie che sostituiscono la funzione renale, come la dialisi peritoneale a domicilio e, in seconda battuta, il trapianto da vivente. E sono procedure da incentivare perché noi attualmente per la dialisi peritoneale siamo al 9% della popolazione dializzata, e in Europa al 20-30%. Noi abbiamo 300 trapianti da vivente all’anno, che rappresentano il 15% dell’attività trapiantologica; in Europa sono esattamente al doppio, al 30%”, dice lo specialista.  

Per l’esperto i pazienti si devono sentire rassicurati: “La Società italiana di nefrologia sta perseguendo una strada che contempla la prevenzione, per rallentare l’evoluzione della malattia attraverso un’identificazione precoce del paziente; sta perseguendo la domiciliarità del trattamento dialitico; sta perseguendo il trapianto da vivente. Stiamo lavorando a un percorso virtuoso per questi pazienti, che non è rappresentato dalla sola emodialisi”.  

L’evoluzione di questi trattamenti – che “è dietro l’angolo, non in un futuro lontano” – si sviluppa per la Sin su tre azioni “che hanno come fine ultimo quello di evitare la dialisi o tardarla il più possibile”, evidenzia De Nicola. La prima è “creare la rete con la medicina generale per poter identificare subito la malattia renale, che nelle fasi iniziali è asintomatica, attraverso un progetto di screening. Stiamo lavorando con la società dei medici di famiglia Simg per questo, con un’attività formativa nazionale, e abbiamo alla Camera un disegno di legge sullo screening della malattia renale cronica nella medicina generale. Questo è fondamentale perché se noi identifichiamo i pazienti precocemente si possono mettere in atto tutte le terapie disponibili per rallentare la malattia”.  

La seconda azione è “la dialisi peritoneale, che oggi ha avuto un miglioramento netto da un punto di vista tecnologico” e migliora la qualità della vita del paziente. Infine il trapianto da vivente”, che è l’altra azione importante”. Quindi “se faccio prevenzione, poi passo per la dialisi peritoneale e arrivo al trapianto, il paziente non va in dialisi o ci andrà anche 20 anni dopo”, sintetizza il presidente Sin.  

Tutto questo è tanto più importante a fronte del fatto che “la malattia renale cronico-degenerativa ha grande impatto – rimarca De Nicola – Abbiamo 5 milioni di pazienti in Italia, 850 milioni in tutto il mondo. E la mortalità che sta crescendo velocemente, perché come peggiora la funzione renale così aumenta il rischio cardiovascolare. E poi, come ha dimostrato anche questo caso di cronaca, è una malattia che costa tantissimo: arrivare in dialisi significa far spendere allo Stato 50mila euro per paziente l’anno”. Oggi però la “prospettiva sta enormemente cambiando. E con essa anche i rischi che il malaffare – seppure la nefrologia italiana è sana, come è sana anche la maggioranza del privato sanitario – possa insinuarsi in tutto questo. Mettendo assieme la terapia tradizionale e la terapia innovativa, oggi si riesce a rimandare la dialisi anche di 20 anni se non ad evitarla”.  

La vicenda del primario di nefrologia romano arrestato con l’accusa di corruzione “non ha nulla a che fare con la realtà quotidiana dei nefrologi italiani – sottolinea all’Adnkronos Salute Carmelita Marcantoni, segretaria della Società italiana di nefrologia (Sin) e direttore di Nefrologia e Dialisi dell’Azienda ospedaliero universitaria Policlinico ‘G. Rodolico – San Marco’ di Catania – Rimane isolata e non può gettare ombre sulla professionalità, sulla dedizione e sul sacrificio quotidiano di tanti professionisti. Non deve minare, in alcun modo, il rapporto di fiducia medico paziente che nel caso specifico è lungo e duraturo. Va dalla diagnosi alla terapia sostitutiva, protraendosi anche anni, decenni”.  

Dopo la diagnosi, infatti, “il nefrologo accompagna il paziente nella terapia specifica, in quella di supporto e – quando necessario – fino alla cosiddetta terapia sostitutiva che include la dialisi domiciliare peritoneale, l’emodialisi e il trapianto. Non tutti i pazienti possono scegliere, per ragioni cliniche, i diversi tipi di terapia sostitutiva, ma le possibilità vanno tutte presentate e discusse, e la scelta va condivisa con il paziente e i familiari”, aggiunge la specialista evidenziando che “quando si deve affrontare la scelta della dialisi o del trapianto questo momento così complesso viene vissuto con ponderazione, valutando tanti aspetti, clinici e sociali, che possono condizionare la vita del paziente e della famiglia negli anni successivi. Tutto ciò comporta professionalità, percorsi strutturati, tempo, dedizione e pazienza”.  

Per questa ragione gli ambulatori di nefrologia ospedalieri hanno sviluppato dei percorsi strutturati (i cosiddetti ambulatori Marea – Malattia renale avanzata) affinché “la gestione del paziente affetto da malattia renale cronica in fase avanzata non sia lasciata al caso, ma sia gestita in maniera competente e completa”. Quindi “il paziente, seppur fragile, ha la possibilità di comprendere se il percorso di cura intrapreso è sicuro. Può affidarsi al nefrologo e alla struttura organizzativa in cui opera. Il paziente viene informato in questo percorso e ha la possibilità di verificare se lo specialista che lo ha in cura agisce in modo coerente, onesto. L’informazione e il coinvolgimento del paziente nelle scelte sono fondamentali”, conclude Marcantoni, sottolineando che il caso Palumbo (il medico dell’ospedale Sant’Eugenio arrestato a Roma) “riguarda il singolo ed è responsabilità del singolo. Come nefrologi siamo dispiaciuti perché un caso isolato rischia di far perdere la fiducia del paziente in tutta la categoria”.  

 

cronaca

webinfo@adnkronos.com (Web Info)


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