“Vai a lavare i piatti”: non è goliardia, è cultura tossica. E va condannata sempre
Il video degli insulti sessisti rivolti all’arbitra durante Moncalieri Women–Pro Palazzolo ha acceso, come prevedibile, un’ondata di reazioni. Accanto a chi ha condannato senza esitazioni la frase “vai a casa a lavare i piatti”, c’è chi ha scelto la solita scorciatoia retorica: “Se fosse successo a un uomo, tutto questo clamore non ci sarebbe stato”. Una risposta che, ciclicamente, torna a galla ogni volta che il sessismo si manifesta in maniera plateale.
È un’argomentazione fragile, innanzitutto perché una frase del genere difficilmente verrebbe rivolta a un arbitro uomo e, qualora accadesse, verrebbe comunque bollata come idiota, stonata, irricevibile. Nel 2025 non dovrebbe più essere necessario spiegare perché un insulto basato sul genere non sia “un insulto come gli altri”, ma esprima un immaginario che continua a confinare le donne in ruoli domestici, come se non avessero alcun diritto di stare su un campo da calcio a dirigere una partita.
Ma il punto fondamentale è un altro: ridurre la gravità dell’episodio con la formula “e allora gli arbitri uomini?” significa distogliere lo sguardo dal vero problema culturale. Perché sì, è assolutamente vero che gli arbitri uomini subiscono insulti, minacce e — troppo spesso — anche aggressioni fisiche. Basta leggere ogni settimana il comunicato ufficiale del Comitato Piemonte-Valle d’Aosta per rendersi conto della quantità e della violenza dei comportamenti che colpiscono, in grande maggioranza, ragazzi giovanissimi alle prime partite.
E allora la domanda da porsi non è “perché difendete una donna e non un uomo?”, bensì: fino a quando accetteremo che insultare un arbitro sia considerato normale? Fino a quando continueremo a giustificare tutto con il folklore, la tensione, il momento?
Questo episodio, come tanti altri, dovrebbe essere un campanello d’allarme per l’intero movimento. Non è una battaglia tra sessismi “più o meno gravi”: è una battaglia per il rispetto. Per un arbitro donna che viene ridicolizzata perché donna, e per un arbitro uomo che ogni weekend viene minacciato di morte in un campo di provincia.
La risposta, per una volta, è semplice: non c’è “allora” che tenga. Non c’è confronto che giustifichi o ridimensioni. Va condannato tutto. Ogni parola, ogni gesto, ogni insulto. Sempre.
Fino a quando non lo capiremo, resteremo bloccati in un calcio che pretende di essere moderno ma continua a ragionare con i codici dell’età della pietra.
