(Adnkronos) – Cambiano le regole europee su richiesta d’asilo e rimpatri di migranti irregolari. Il Consiglio Ue ha infatti concordato la propria posizione negoziale su due atti legislativi dell’Ue che cambieranno l’applicazione del concetto di Paese sicuro nelle norme Ue in materia di asilo.
Il nuovo regolamento che rivede il concetto di Paese terzo sicuro amplia le circostanze in cui una domanda di asilo può essere respinta perché considerata inammissibile.
Il Consiglio ha inoltre completato un elemento chiave del patto sulla migrazione e l’asilo del 2024, concordando il primo elenco comune Ue di Paesi di origine sicuri, che consentirà agli Stati membri di trattare le domande di protezione internazionale presentate dai cittadini di questi Paesi in modo “accelerato”. Questi Paesi sono, oltre a quello candidati all’adesione all’Ue, Bangladesh, Colombia, Egitto, India, Kosovo, Marocco e Tunisia.
Il concetto di Paese terzo sicuro consente inoltre agli Stati membri dell’Ue di respingere una domanda di asilo come inammissibile (senza esaminarne il merito) quando i richiedenti asilo avrebbero potuto chiedere e ottenere protezione internazionale in un Paese extra-Ue considerato sicuro per loro.
Secondo le norme aggiornate concordate dal Consiglio, gli Stati membri potranno applicare il concetto di Paese terzo sicuro sulla base di tre opzioni. Prima opzione: esiste un legame tra il richiedente asilo e il Paese terzo. Tuttavia, “il legame non sarà più un criterio obbligatorio per l’utilizzo del concetto di Paese terzo sicuro”. Seconda opzione, il richiedente asilo ha transitato attraverso il Paese terzo sicuro prima di raggiungere l’Ue.
Terza opzione, esiste un accordo o un’intesa con un Paese terzo sicuro che garantisca che la richiesta di asilo di una persona venga esaminata nel Paese terzo in questione. L’applicazione del concetto di Paese terzo sicuro sulla base di un accordo o di un’intesa, specifica il Consiglio, “non è possibile nel caso di minori non accompagnati”.
Un richiedente asilo che presenta ricorso contro una decisione di inammissibilità al diritto di asilo basata sul concetto di Paese terzo sicuro non avrà più il diritto automatico di rimanere nell’Ue per tutta la durata del procedimento di ricorso. Resta però in vigore il diritto del richiedente asilo di rivolgersi a un Tribunale per vedersi riconoscere il diritto di rimanere.
La lista dei Paesi terzi sicuri permetterà agli Stati membri di trattare più rapidamente le richieste che arrivano da cittadini di Stati considerati non a rischio. “Ogni anno – ricorda il ministro dell’Interno danese Rasmus Stoklund, socialdemocratico – decine di migliaia di persone arrivano in Europa e chiedono asilo, pur partendo da Paesi sicuri, dove generalmente non sussiste alcun rischio di persecuzione. Il primo elenco Ue di Paesi di origine sicuri contribuirà a creare procedure di asilo più rapide ed efficienti e al rimpatrio di coloro che non necessitano di protezione”. Si tratta di “un traguardo importante per la politica di asilo dell’Ue”.
Il concetto di Paese di origine sicuro, continua il Consiglio, consente agli Stati membri di istituire un sistema speciale per esaminare le domande di protezione internazionale. In base al regolamento sulla procedura di asilo del 2024, adottato nell’ambito del patto sull’asilo e la migrazione, gli Stati membri devono applicare una procedura accelerata per i richiedenti provenienti da un Paese di origine sicuro e possono svolgerla “alla frontiera o nelle zone di transito”.
Le norme sul Paese di origine sicuro si basano sul presupposto che i richiedenti provenienti da quel determinato Paese godano di una protezione sufficiente contro il rischio di persecuzione o contro gravi violazioni dei loro diritti fondamentali. I Paesi extra-Ue possono essere designati come Paesi di origine sicuri solo se raggiungono una “elevata soglia di sicurezza”, secondo il Consiglio.
Oltre ai Paesi inclusi nella lista dei Paesi di origine sicuri, anche i Paesi candidati all’adesione all’Ue sono designati come Paesi di origine sicuri a livello Ue, a meno che: non vi sia una situazione di conflitto armato internazionale o interno al Paese; non siano state adottate misure restrittive che ledano i diritti e le libertà fondamentali; la percentuale di decisioni positive delle autorità degli Stati membri nei confronti dei richiedenti provenienti dal Paese sia superiore al 20%.
La posizione del Consiglio chiarisce che la Commissione dovrebbe monitorare la situazione nei Paesi candidati all’adesione all’Ue e informare gli Stati membri quando una di queste eccezioni si applica o quando cessa di applicarsi. Il Consiglio ha inoltre concordato di consentire alla Commissione di sospendere la designazione di un Paese di origine sicuro a livello Ue per l’intero Paese o solo per parti del suo territorio o della sua popolazione, se fornisce una valida giusificazione. Gli Stati membri potranno comunque avere propri elenchi nazionali di Paesi di origine sicuri, con l’aggiunta di Paesi terzi diversi da quelli presenti nell’elenco Ue.
Il Consiglio ha inoltre approvato la proposta della Commissione di accelerare l’attuazione di alcune disposizioni del Patto sulla migrazione e l’asilo, precedentemente prevista per giugno 2026. I due accordi raggiunti oggi consentono al Consiglio di avviare negoziati con il Parlamento Europeo per concordare un testo giuridico definitivo.
Il Consiglio Ue ha quindi raggiunto anche un accordo sulla propria posizione negoziale su una legge dell’Ue volta ad accelerare e semplificare le procedure di rimpatrio delle persone che soggiornano irregolarmente negli Stati membri. Il regolamento istituisce procedure a livello Ue per rimpatriarli, impone obblighi a coloro che non hanno diritto di soggiorno e predispone strumenti di cooperazione tra gli Statii. Consente inoltre ai Paesi di istituire centri di rimpatrio in Paesi terzi.
L’accordo tra gli Stati membri arriva sei mesi dopo che il Consiglio Europeo del 26 giugno aveva chiesto di intensificare gli sforzi per facilitare, aumentare e accelerare i rimpatri.
Il regolamento sui rimpatri, continua il Consiglio, imporrà obblighi “rigorosi” agli espulsi, in primo luogo l’obbligo di lasciare il territorio dello Stato membro in questione e di collaborare con le autorità. Altri obblighi includono mettersi a disposizione delle autorità, fornire un documento d’identità o di viaggio, trasmettere i propri dati biometrici e non opporsi in modo fraudolento alla procedura di rimpatrio.
Ci saranno conseguenze per le persone, alle quali è stato intimato il rimpatrio, che non collaborano. Gli Stati membri possono decidere di rifiutare o dedurre determinati benefici e indennità, rifiutare o revocare permessi di lavoro o imporre sanzioni penali che, secondo la posizione negoziale del Consiglio, dovrebbero includere anche la reclusione.
Il regolamento chiarisce che il Paese di rimpatrio può essere un Paese con il quale esiste un accordo o un’intesa, in base alla quale viene accettata la persona che non ha diritto di soggiornare negli Stati membri dell’Ue, quindi non necessariamente il Paese d’origine della persona espulsa. La commissaria al Mediterraneo Dubravka Suica ha detto chiaramente di recente che i migranti irregolari vanno “deportati”.
La legge, per come è scritta nella posizione del Consiglio, stabilisce inoltre le condizioni per questi accordi o intese. Ad esempio, possono essere conclusi solo con un Paese terzo in cui siano rispettati gli standard internazionali in materia di diritti umani e i principi di diritto internazionale, incluso il principio di non respingimento.
Conterranno poi le procedure per il rimpatrio di una persona in soggiorno irregolare, le condizioni per il suo soggiorno nel Paese extra-Ue e le conseguenze in caso di mancato rispetto dell’accordo o dell’intesa. Questi centri di rimpatrio possono fungere “sia da centri per il rimpatrio verso il Paese di rimpatrio finale sia da destinazione finale”.
Il regolamento prevede misure speciali per le persone che presentano rischi per la sicurezza. Ad esempio, può essere loro imposto un divieto d’ingresso superiore al consueto periodo massimo di dieci anni, fino al divieto d’ingresso a tempo indeterminato. Gli Stati membri possono anche imporre la detenzione, anche in carcere. Questo periodo di detenzione può anche essere più lungo di quanto normalmente previsto.
E’ inoltre previsto il riconoscimento reciproco delle decisioni di rimpatrio, inizialmente facoltativo, che oggi non c’è: l’Italia, per fare solo un esempio teorico, può ignorare un decreto di espulsione emesso dalla Francia, e viceversa. Gli Stati membri ora potranno riconoscere ed eseguire direttamente una decisione di rimpatrio emessa da un altro Stato membro nei confronti di una persona che deve lasciare il territorio Ue, senza dover avviare la procedura per una nuova decisione di rimpatrio.
Questo, secondo il Consiglio, invierà un messaggio “forte “ai cittadini di Paesi terzi in soggiorno irregolare: non possono evitare il rimpatrio fuggendo in un altro Stato membro. Il riconoscimento reciproco delle decisioni di rimpatrio di un altro Paese non è ancora obbligatorio.
Secondo la posizione del Consiglio, la Commissione Europea valuterà il funzionamento del riconoscimento reciproco due anni dopo la sua entrata in vigore e, se lo riterrà opportuno, presenterà una proposta legislativa per renderlo obbligatorio per tutti gli Stati membri.
Il regolamento sui rimpatri introdurrà un provvedimento di rimpatrio europeo (Ero, European Return Order), un modulo in cui gli Stati membri dovranno inserire gli elementi principali della decisione di rimpatrio. I Paesi dovranno inserire l’Ero nel Sistema d’Informazione di Schengen, il sistema di condivisione delle informazioni per la sicurezza e la gestione delle frontiere nell’Ue.
Questo dovrebbe facilitare il riconoscimento reciproco, poiché i 27 Paesi disporranno delle informazioni necessarie per riconoscere la decisione di rimpatrio di un altro Stato. Se una persona a cui è stato intimato di lasciare l’Ue si trasferisce in un altro Stato membro, quest’ultimo potrà eseguire direttamente la decisione di rimpatrio emessa dal primo Stato membro.
I Paesi dell’Ue hanno deciso che il provvedimento di rimpatrio europeo sarà introdotto entro due anni dall’entrata in vigore del regolamento sui rimpatri. L’accordo raggiunto oggi servirà da base per l’avvio da parte del Consiglio dei negoziati con il Parlamento Europeo, per concordare un testo giuridico definitivo.
I Paesi membri dell’Ue hanno quindi raggiunto un accordo oggi a Bruxelles sugli impegni di solidarietà per il 2026 nell’ambito migratorio. Si tratta degli impegni che gli Stati non di primo arrivo assumono nei confronti dei Paesi di primo arrivo sotto pressione migratoria (quest’anno Italia, Spagna, Cipro e Grecia), per alleviare gli oneri in capo a questi ultimi legati alla gestione dei flussi migratori.
Per quest’anno, o meglio per il periodo successivo al 12 giugno, quindi poco più di sei mesi, il ‘pool’ prevede 21mila ricollocamenti o altri “sforzi di solidarietà”, oppure contributi finanziari per 420 milioni di euro. Il solidarity pool è una delle componenti previste dal nuovo patto Ue sulle migrazioni e l’asilo.
Il Cpr di Gjader e il centro di Shengjin, in Albania, si “ricandidano con forza” ad “essere attivi su tutte le funzioni per i quali erano stati concepiti: luoghi di trattenimento per l’esercizio delle procedure accelerate di frontiera”, ma soprattutto “ad essere il primo esempio di quegli hub per il rimpatrio che sono citati da uno dei regolamenti”, sui quali oggi il Consiglio Ue ha concordato una posizione negoziale, dice il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi.
“Abbiamo un afflusso molto elevato di migranti irregolari – dice il ministro per l’Immigrazione danese Rasmus Stoklund, sociademocratico – i nostri Paesi europei sono sotto pressione. Migliaia di persone annegano nel Mar Mediterraneo o subiscono abusi lungo le rotte migratorie, mentre i trafficanti di esseri umani accumulano fortune”.
Questo dimostra, continua il ministro socialdemocratico, che “il sistema attuale crea strutture di incentivi malsani e un forte fattore di attrazione, difficili da eliminare. La Danimarca e la maggior parte degli Stati membri dell’Ue si sono pronunciati a favore dell’esame delle domande di asilo in Paesi terzi sicuri, al fine di eliminare gli incentivi a intraprendere viaggi pericolosi verso l’Ue”.
Stoklund è “lieto che noi, Stati membri, abbiamo concordato un approccio generale alla revisione del concetto di Paese terzo sicuro, che consente agli Stati membri di stipulare accordi con Paesi terzi sicuri sull’esame delle domande di asilo al di fuori dell’Europa”.
Sul fronte dei rimpatri, spiega ancora, “tre migranti irregolari su quattro nei confronti dei quali è stata emessa una decisione di rimpatrio nell’Ue continuano a rimanere, invece di tornare a casa. Sono lieto che abbiamo concordato un nuovo regolamento Ue sui rimpatri. Credo che la nuova serie di norme possa contribuire significativamente a migliorare queste cifre. Per la prima volta, i cittadini di Paesi terzi in soggiorno irregolare avranno degli obblighi. E gli Stati membri disporranno di strumenti molto più efficaci: ad esempio, sarà possibile trattenere per un periodo più lungo e i divieti d’ingresso saranno più lunghi. Inoltre, l’accordo odierno consentirà sia all’Unione Europea che a uno o più Stati membri di stipulare un accordo con un Paese terzo sui centri di rimpatrio”.
Oggi nell’Ue si assiste finalmente ad una “riorganizzazione” della politica migratoria, sottolinea quindi il ministro dell’Interno tedesco Alexander Dobrindt, a margine del Consiglio Affari Interni a Bruxelles.
“Fin dall’inizio del mio mandato – dice l’uomo politico della Csu bavarese – ho chiarito che non esiste un singolo interruttore che possa essere premuto per riorganizzare completamente la politica migratoria. Ci sono invece misure nazionali urgenti da adottare, come il controllo delle nostre frontiere interne e la riduzione dei fattori di attrazione. Ma anche il livello europeo è urgentemente necessario”.
E oggi, continua, “siamo al punto di attuare questa riorganizzazione della politica migratoria in Europa. Sono state raggiunte due tappe fondamentali: la riorganizzazione della politica migratoria in Germania e la riorganizzazione della politica migratoria in Europa. Sono molto grato alla presidenza danese del Consiglio per aver colto questo slancio, in stretta collaborazione con la Germania”, conclude.
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