
GINEVRA. È la legge del calcio. Dello sport. Ancora una volta. Quella legge dura, spietata, spesso ingiusta. L’Italia femminile, guidata da Andrea Soncin, è arrivata a un soffio dalla storia. Un minuto e venti. Tanto mancava al sogno di conquistare la prima, storica finale europea. Dopo oltre novanta minuti giocati in vantaggio, quando il traguardo sembrava finalmente a portata di mano, è arrivata la beffa.
Prima il pareggio dell’Inghilterra, in pieno recupero, come una pugnalata al cuore. Poi, nei tempi supplementari, il colpo finale: un rigore – dubbio, va detto – trasformato da Chloe Kelly. Così le Leonesse volano in finale, mentre alle Azzurre resta solo un epilogo amarissimo, uno di quelli che fanno male, che ti svuotano dentro. Ma che, allo stesso tempo, ti rendono orgoglioso.
Perché no, questa non è una delusione. È qualcosa di più grande. È un’emozione che resterà. Il sogno che ci hanno fatto vivere queste ragazze va ben oltre il risultato. E ciò che resta oggi è una certezza: non si potrà più dire che il calcio femminile non interessa. Non si potrà più dire che non è competitivo, che non merita attenzione, investimenti o spazio nei media.
Questa semifinale non può e non deve diventare solo retorica, un momento da incensare oggi per poi dimenticarlo domani. Perché questo, comunque lo si guardi, è un successo. Un successo che ha spazzato via ogni pregiudizio. Un successo che ha fatto battere il cuore di un intero Paese. Un successo che ha gridato forte e chiaro che, sì, in Italia le donne giocano a calcio. E lo fanno dannatamente bene.