(Credit Foto: Lavinia Quagliotti)
ASTI – Chi è cresciuto calpestando l’erba di un campo da calcio lo sa bene: questo sport sa essere meraviglioso e crudele al tempo stesso.
Nel calcio, come nella vita e nello sport tutto, esistono vincitori e vinti. È una legge arcaica, implacabile, che non fa eccezioni e non mostra pietà. Una regola scolpita nel cuore stesso della competizione, che inchina chiunque al suo severo verdetto.
Lo sapeva bene Paolo Maldini, emblema del Milan e dell’Italia. Eppure, proprio lui – icona di un calcio d’altri tempi – si definì, in una delle tante interviste, “uno dei giocatori più perdenti della storia”.
Parole che, a un primo ascolto, suonano quasi assordanti, se pensiamo al suo inarrivabile palmarès. E tuttavia, in quell’oceano di trofei, le sconfitte affiorano con la stessa forza di un’eco eterno. Perché sì, come detto, il calcio non fa sconti.
Ce lo ha insegnato Roberto Baggio, il Divin Codino, con quel rigore maledetto nella finale del Mondiale del 1994. Una carriera incantata, legata per sempre a un singolo attimo. Un pallone che si perde alto sopra la traversa in un errore che vive ancora nella memoria collettiva. E in quella traiettoria spezzata, Roberto ci ha svelato il volto più umano delle leggende, mostrandoci che anche gli dei del pallone possono vacillare. È in quella fragilità, cruda e struggente, che si cela l’essenza del calcio: una bellezza fatta d’ombre e luce, degna di un ossimoro come quelli che animano le liriche di Charles Baudelaire.
A pagarne il prezzo, oggi, è la formazione guidata dalla Capitana Pamela Gueli, che nella finale di Coppa Piemonte si è arresa al Torino.
“Potevamo davvero alzarla noi, questa maledetta coppa” – confessa la numero dieci ai microfoni di Piemonte Sport – “ma alla fine, posso solo ringraziare le mie giocatrici : hanno dato tutto e hanno lottato sino all’ultimo respiro”.
Da un lato, la gioia incontenibile del Torino, dominatrice assoluta della stagione, Dall’altro l’amarezza del Moncalieri: è la legge antica del calcio, severa e sublime. Ed è forse proprio questo il segreto eterno che ci fa amare questo sport: la poesia della sconfitta, il fascino dell’imperfezione, la grandezza silenziosa di chi cade e trova la forza di rialzarsi.
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