Ancora una volta ci troviamo a scrivere dell’ennesimo fallimento italiano nei confronti dello sport femminile. Mentre, dall’altra parte del globo, la piattaforma streaming più utilizzata al mondo spalanca le porte al calcio femminile siglando un accordo con la FIFA per trasmettere i Mondiali del 2027 e del 2031, in Italia il governo decide di bocciare il rifinanziamento del fondo triennale per il professionismo nello sport.
Il fondo, istituito nel 2020 grazie al decreto Nannicini, era nato per sostenere le federazioni sportive disposte a compiere il passo verso il professionismo femminile. Tra le federazioni, solo la FIGC aveva aderito, ma questo non è bastato. La Presidentessa della Divisione Serie A, Federica Cappelletti, e l’Associazione Italiana Calciatori (AIC) avevano chiesto con forza una proroga del fondo per garantire la sostenibilità e lo sviluppo di un movimento già fragile.
L’esito? Una sconfitta, l’ennesima, che ha lasciato atlete, addetti ai lavori e politici basiti. Ma siamo davvero così stupiti? In un Paese dove giocare a calcio per una donna è ancora un privilegio, soffocato dalla mancanza di società disposte a investire nei settori giovanili femminili e da una mentalità maschilista e retrograda, di cosa ci sorprendevamo? La narrazione dominante oscilla tra stereotipi che etichettano una calciatrice come “una lesbica” (sfociando spesso in insulti omofobi), “una modella sui tacchetti” o, peggio ancora, “un’incapace” a prescindere.
Questo non è solo un passo indietro: è l’ennesima conferma di un sistema che si ostina a chiudere gli occhi davanti al valore e al potenziale dello sport femminile. Ancora una volta, la speranza di una vera parità viene calpestata dall’indifferenza e dall’ignoranza.
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