ASTI. “Cosa manca nel calcio di oggi? Lo stile, la gentilezza”. E se te lo dice un vero e proprio gigante del calcio piemontese, non puoi fare altro che segnartelo con la penna sul taccuino e andare avanti. Anche perché, se stai ininterrottamente su un campo di calcio dai primi anni Settanta, qualcosa di buono lo avrai pur fatto. Oltre un’ora e mezza di telefonata, capace di spaziare dallo stress della quotidianità di un “simpatico 70enne” ai ricordi del calcio che fu, passando per i problemi del calcio attuale. Carlo Pesce si conferma una rockstar e ad Asti sta vivendo una seconda giovinezza professionale, come dimostrano i risultati ottenuti in questo primo anno e mezzo con i galletti.
Ciao Carlo, novembre è ormai passato ed è tempo di primi bilanci. Come sta andando l’attività agonistica in quel di Asti?
“Come giovanili stiamo andando bene. Penso (e spero) che qualche squadra riuscirà a raggiungere le fasi finali dei regionali. Siamo riusciti a prendere qualche giocatore importante da Alessandria e da altre realtà vicine. Poi molti si alternano tra Under 19 nazionale e Serie D e questo, per noi, non può che essere una soddisfazione”.
Nelle ultime settimane Vanegas e Isoldi sono in pianta stabile in prima squadra, ma non solo loro, giusto?
“Siamo molto contenti di loro due. Ripeto, sono soddisfazioni e, sicuramente, per i ragazzi non può che essere un’esperienza positiva. Anche a livello generale, per l’Asti questa è una crescita importante. Oggi, invece, parteciperanno alla rifinitura della prima squadra Gissi, Enea e Margarino: tutti classe 2008”.
Possiamo dire che il progetto di valorizzare i giovani del territorio sta funzionando?
“Assolutamente sì, d’altronde questa è una ‘politica’ che accetto e condivido al 100%. Chiaramente, un anno può andare bene, mentre l’altro no: ma la crescita è continua. Con Ballario stiamo facendo un ottimo lavoro, così come Buscemi, che ci ha dato una mano con i ragazzi che arrivano da Alessandria. Devo essere sincero: sono fortunato a lavorare in un gruppo di così alto livello”.
L’assenza dell’Alessandria sul mercato giovanile vi ha favoriti?
“È innegabile. Ci siamo ritrovati senza un grande competitor e questo ci permette di essere più competitivi rispetto a prima. Poi l’arrivo di Buscemi ci ha dato ancora più forza e visibilità. Credo che, comunque, grazie al percorso che abbiamo intrapreso, l’Asti sarebbe diventata forte sul mercato a prescindere, ma in questo modo abbiamo anticipato le tappe”.
Tu a Torino sei un vero e proprio totem. Condividi il pensiero di chi dice che sotto la Mole il calcio sia in crisi?
“Certo. Le società fanno sempre più fatica e tra direttori sportivi si fa la cosiddetta guerra tra poveri. Se tu chiami un giocatore alle 8:30 del mattino, puoi starne certo che qualcun altro lo ha già fatto alle 8 e via dicendo. Tolte le solite sei-sette, le altre sono in grande crisi e questo mi dispiace”.
Stavamo parlando di prima squadra, cosa ne pensi di questo campionato di Serie D?
“Lo trovo molto equilibrato. Se una squadra ottiene 2-3 vittorie di fila, si ritrova nelle parti nobili della classifica. Mi ha sorpreso il Bra, ma alla fine penso che sarà il Varese a spuntarla. Conosco Floris e Montanaro, so cosa possono dare alla squadra. Inoltre, la storia a volte può fare la differenza e a Varese di storia ce n’è tanta”.
Sei d’accordo con chi dice che il Girone A sia tra quelli con la qualità più bassa?
“Sì. Penso che già solo il Girone B sia molto più complicato rispetto al nostro”.
Forse in Piemonte si colma il gap con la qualità degli allenatori…
“Concordo, da noi escono dei tecnici molto bravi e preparati e non a caso allenano fuori regione”.
Parlando dell’Asti, invece, trovo che quest’anno la squadra di Sesia sia molto forte.
“Lo penso anche io e gli ultimi risultati lo stanno dimostrando. Conosco Marco da tantissimo tempo, so come lavora e credo che abbia trovato la quadra, specie a livello difensivo. Le sue squadre hanno sempre preso pochi gol e le ultime partite lo confermano”.
Tra l’altro, siete una delle poche squadre che hanno pescato dalla Serie C. Quanto è importante avere Ciancio con voi?
“Tantissimo, non giochi a quei livelli (Serie B e Serie C, ndr) per tanto tempo a caso. Lui è un vero leader e nello spogliatoio si sente eccome. La società ha fatto un grandissimo acquisto”.
A proposito di qualità, ormai non si dribbla più: secondo te perché?
“Quello di oggi è un altro calcio rispetto a quello di quando ho iniziato io, ma è anche normale che sia così. Ormai i calciatori, a partire dal settore giovanile, sono diventati dei soldatini. Vedo sempre meno ragazzi tentare un dribbling o una giocata importante. Devo dire che da noi, io in primis, li esortiamo a farlo: mal che vada hai perso il pallone. Serve più spensieratezza”.
Quindi confermi che molte volte il diktat arriva dagli allenatori e che non è vero che non produciamo più talenti.
“Assolutamente. L’altro giorno ho visto 2-3 ragazzi di assoluto talento e ho già parlato con i miei colleghi per provare a portarli da noi. Ovviamente non faccio nomi (ride, ndr). Sai, sono in tanti a fare calcio in Piemonte, ma oggettivamente sono pochi i tecnici bravi. Basta guardare un video su YouTube e siamo tutti allenatori. Il problema è che il ragazzo deve divertirsi con il pallone, affinare la tecnica e anche sbagliare. La tattica va bene ma fino ad un certo punto. Lo stesso si può dire per la parte atletica. Io ho visto fare il ‘muretto’ a Vialli e Mancini, due fenomeni del nostro calcio. Perché non possono farlo dei ragazzi di 13-14 anni?”.
Secondo te cosa manca a questo calcio?
“Sicuramente lo stile, la gentilezza e l’educazione, ma anche il rispetto. Negli ultimi anni di carriera mi sono trovato più volte a dare consigli a qualche mio allenatore e ricevere risposte surreali. E non dimentichiamoci un certo tipo di cultura…”.
Ovvero?
“In questi oltre 50 anni di lavoro, mi sono ritrovato in più parti dell’Europa per studiare e capire le culture vicine (e lontane) a noi. In Francia, ad esempio, fino ad una certa età non giocano per ottenere un risultato, ma solo per divertirsi. In questo modo riesci a coltivare il talento senza ansia e stress. Per quanto invece riguarda l’insegnamento vero e puro sul campo, rimasi impressionato ad Amsterdam, quando andai a fare uno stage all’Ajax. I ragazzini di una qualsiasi rosa dovevano imparare a giocare sia come terzino che come difensore centrale, ma anche come centrocampista e attaccante: può essere giusto o sbagliato, ma questo ti aiutava molto nel corso della tua carriera perché sapevi fare tutto”.
Grazie Carlo.
“A voi, come sempre”.